mercoledì 8 giugno 2011

GALIMBERTI, L'ANTIFASCISTA DALLE IDEE MUSSOLINIANE











MITIZZATE LE IMPRESE PARTIGIANE, NEL DIMENTICATOIO IL PENSIERO DI

DUCCIO GALIMBERTI, L'ANTIFASCISTA CON UN PROGETTO MUSSOLINIANO UNA COINCIDENZA DI VEDUTE CON PRINCIPI DELLA R.S.I.

Tancredi (Duccio) Galimberti, esponente del Partito d'Azione e comandante delle formazioni partigiane Giustizia e Libertà, ha lasciato un progetto di costituzione nazionale ed europea, formulato tra l'autunno del 1942 e la primavera del 1943, collaborazione con l'amico Antonino Rèpaci.
Questi ricuperò il documento a guerra finita con l'intento di darlo subito alle stampe (giugno 1945); ma la pubblicazione vide la luce soltanto l'anno successivo, a motivo, spiegò polemicamente Rèpaci, «dell'ostilità di certi ambienti, che avrebbero avuto il preciso dovere di favorirla».
Gli ambienti cui Rèpaci alludeva erano ovviamente quelli dell'antifascismo, ed in particolare del Partito d'Azione.
Tale riluttanza è comprensibile conoscendo il contenuto del testo, decisamente in disaccordo con il sistema dei partiti (cui lo stesso PdA apparteneva), quale andava configurandosi nel nostro Paese.
Così, se da una parte al partigiano Galimberti si intitolavano le piazze, dall'altro se ne tacevano le idee.
L'ordinamento interno dello Stato, secondo Galimberti, prevedeva all'art. 56 la seguente norma: È vietata la costituzione di partiti politici.
Il perché viene spiegato nell'introduzione al progetto di Costituzione, «considerando la società quale è auspicabile che diventi dopo il superamento delle lotte di classe […] sul principio della collaborazione delle varie categorie lavorative […]. D'altra parte è doveroso riconoscere che i partiti, specie da quando, con l'allargamento del suffragio, hanno assunto aspetto e carattere di partiti di massa, determinarono, rispetto agli iscritti, sia nell'orientamento generale, sia soprattutto nell'indicazione dei candidati, una azione troppo facilmente trasformabile in coercitiva: con il che si lascia sussistere la prima e più comoda base per gli attentati alla libertà».
Chi non riconosce, nel superamento delle lotte di classe, sul principio della collaborazione delle varie categorie lavorative, i fondamenti del Corporativismo di mussoliniana memoria?
Ne risulta che Galimberti, attraversando la esperienza fascista, ne aveva condiviso fondamentali postulati sul piano della politica sociale.
Operai e impiegati delle aziende concorrono al riparto degli utili.
Presso ogni azienda viene istituita una commissione di controllo composta di impiegati e operai nominati dai rispettivi gruppi di categoria (art. 166).

Confrontiamo questi principii col punto 12 del Manifesto di Verona del 1943, dove è scritto che «In ogni azienda le rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano intimamente all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili»; e con gli articoli 125 e 134 del progetto costituzionalepreparato a fine 1943 dal ministro dell'Educazione Nazionale della RSI Carlo Alberto Biggini: «La gestione dell'impresa, sia essa pubblica che privata, è socializzata. Ad essa prendono parte diretta coloro che nell'impresa svolgono, in qualunque forma, una effettiva attività produttiva» (art. 125).
«Gli utili dell'impresa, dopo la deduzione del compenso dovuto al capitale, sono distribuiti tra il capo, gli amministratori e gli operai, impiegati e tecnici dell'impresa, nelle proporzioni fissate per legge» (art. 134).

Da quanto esposto emerge una singolare coincidenza di vedute tra Galimberti ed i costituzionalisti della RSI.

Galimberti non conosceva i 18 Punti di Verona, successivi (se pur di poco), al suo progetto; tuttavia egli non poteva nemmeno ignorare la Carta del Lavoro del 1927, sui cui assunti i Punti di Verona sarebbero stati formulati.
Inconsapevolmente, fascismo repubblicano e antifascismo di Galimberti tendevano, per vie differenti, agli stessi fini.
Prima di passare ad altri temi relativi al progetto di Galimberti, riferiamo un fatto emblematico, avvenuto nel corso della Seduta del 4 ottobre 1946, Assemblea costituente (Commissione per la Costituzione III Sottocommissione), sulle ragioni che spinsero i comunisti, per bocca dell'on. Teresa Noce, a negare ai lavoratori il riparto degli utili: «I comunisti sono contrari alla partecipazione dei lavoratori agli utili […] l'operaio, quando partecipasse agli utili dell'azienda, sarebbe inevitabilmente portato a considerarla come parte di se stesso, arrecando così in seno anche alla classe operaia quella corsa al profitto, che caratterizza la società capitalistica […]
Oltre a questo motivo, i comunisti sono contrari alla partecipazione agli utili, perché questa, in fondo, è una caratteristica della ideologia corporativa […]».
Al che l'on. Dominedò, correlatore, prese la parola osservando che con argomentazioni simili non vi sarebbe stata, in ultima analisi, altra soluzione che «quella di un collettivismo totale e livellatore, il quale, anche da un punto di vista umano ed etico, non costituirebbe allora la via più idonea per la redenzione del lavoro».
Dunque, la diretta conseguenza del veto comunista coincidente con la volontà di perpetuare la lotta di classe (caposaldo ideologico senza il quale la stessa dottrina non ha ragion d’essere), fu la penalizzazione economica e sociale dei lavoratori.
Sono proibite le serrate e gli scioperi. Le relative controversie saranno giudicate dal magistrato ordinario (art. 167).
La costituzione del 1948, in antitesi con quest'altro precetto di Galimberti, ha innalzato lo sciopero a diritto, pur da esercitarsi nel rispetto di apposite leggi che tuttora, dopo cinquantasei anni, si attendono.
Queste ed altre idee non meno dirompenti, esprimeva Galimberti: il lavoro inteso come manifestazione sia manuale che intellettuale, assicurato dallo Stato ed unica fonte di diritti pubblici; la limitazione della proprietà privata in rapporto ai bisogni individuali, familiari ed alle esigenze della condizione sociale; l'elezione diretta del sindaco, unico capo del Comune.

Conclusioni
Abbiamo inteso porre l'accento solamente su una parte dei propositi di Galimberti, a dimostrazione che la Repubblica nata dalla Resistenza, lungi dal promuovere costruttivi (ma scomodi!) dibattiti partendo dal suo pensiero, ha inteso semplicemente perpetuare la sterile commemorazione del personaggio, ingessandolo nelle solite frasi di rito.
(e.z.)

Tratto da HISTORICA n. 7del 2004

Aggiunto da SOCIALE



http://pocobello.blogspot.it/2010/01/fascismo-e-antifascismo-per-una-nuova.html

Nessun commento:

Posta un commento