lunedì 29 gennaio 2018

Il Risorgimento fu una guerra coloniale

di Enrico Montermini

Il Risorgimento fu una guerra coloniale

Le origini di molti mali dell’Italia di oggi risiedono nelle particolari circostanze in cui il sogno dell’unità nazionale fu raggiunto. Se vogliamo accantonare il mito risorgimentale e guardare ai fatti, dobbiamo parlare di una spietata guerra di conquista e di saccheggio scatenata dal Piemonte contro i floridi stati preunitari.

 
La storiografia più recente ammette che tra gli obbiettivi di Cavour c’era quello di garantire alla nascente industria del Nord i capitali per il suo sviluppo e un mercato per i suoi prodotti. A questo punto, se vogliamo chiamare le cose col loro nome, si deve parlare di una guerra coloniale: un’espressione che gli storici si rifiutano di usare per una sorta di riserva mentale, che del resto è facilmente comprensibile.

Parlare di guerra coloniale impone l’uso di determinate categorie di analisi, che risultano politicamente scomode ancora oggi. Per convincersene basta constatare che i più importanti documenti governativi sul Risorgimento sono tuttora coperti da segreto di Stato.

Colonialismo e neocolonialismo

Nell’epoca dell’imperialismo il capitale monopolistico ruppe gli argini ristretti dello Stato nazionale per espandersi all’Estero. È questo il filo rosso che lega il colonialismo al neocolonialismo.

Nella fase coloniale la potenza imperialista interviene direttamente per garantire la sicurezza degli investimenti e lo sfruttamento del territorio. Nella fase successiva dell'emancipazione nazionale il grande capitale arruola tra gli indigeni il personale di cui ha bisogno: tecnici, amministratori, sbirri. Sebbene in modo più sfumato, la potenza imperialista continua anche in questa fase a condizionare la ex colonia ora indipendente: attraverso i programmi di assistenza economica, militare e culturale, ma ricorrendo anche alla corruzione, all’intimidazione, al colpo di stato e all’intervento militare diretto. Il tutto nell’interesse del grande capitale, che nel frattempo è diventato cosmopolita.

Nel caso italiano il Regno del Piemonte si sostituì, semplicemente, all’Austria come potenza coloniale. L’unità d’Italia segnò il punto di transizione dall’epoca coloniale al neocolonialismo. Abbiamo infatti la fine di una dominazione straniera – piemontese, in questo caso – e il sorgere di uno Stato unitario e formalmente indipendente sul piano politico, ma pur sempre aggiogato al carro del grande capitale.

La borghesia compradora

La resistenza delle strutture tribali alle strutture del capitalismo avanzato hanno provocato un fenomeno di reazione, che è possibile osservare nella storia di ogni Paese toccato dal colonialismo. Questa situazione si può trovare anche nel Mezzogiorno italiano e prende il nome di brigantaggio.

Le strutture economiche del capitalismo hanno prodotto, nei Paesi di recente indipendenza, anche nuove strutture sociali che si sono sovrapposte a quelle tradizionali. Mi riferisco all’affermazione di una particolare classe sociale, chiamata borghesia compradora. Essa non è la borghesia produttiva che fa impresa. Non è la piccola borghesia cittadina dedita al commercio spiccio né quella rurale dei piccoli proprietari terrieri. La borghesia compradora può essere descritta come l’agente del grande capitale nei Paesi in via di sviluppo oppure come l’intermediario tra il capitalismo cosmopolita e la popolazione indigena. E’ la classe sociale degli amministratori, degli ufficiali dell’esercito, degli impiegati di banche straniere e multinazionali, dei liberi professionisti. L’unica ragion d’essere della borghesia compradora è la difesa degli investimenti stranieri sul territorio minacciati dalle rivendicazioni sociali delle masse indigene oppresse. Da ciò i suoi membri traggono una rendita di posizione, che si esprime nelle forme del potere personale, del prestigio e della ricchezza.

La borghesia compradora comparve in Italia alla vigilia dell’unità nazionale col preciso compito di saccheggiare il Paese per sé e per i propri padroni: i potenti banchieri israeliti di Parigi, Londra e Ginevra guidati dai Rothschild. Furono costoro, infatti, che finanziarono le guerre d’indipendenza e il processo di modernizzazione del Paese. Considerati gli interessi che la borghesia compradora difende, non sorprende che governi di diverso colore politico si alternino tra loro senza che nulla cambi.

La massoneria

La grande protagonista dell’unità d’Italia fu la massoneria. Il Grande Oriente d’Italia sorse ufficialmente come estensione della Loggia Ausonia, fondata nel 1859 a Torino con la benedizione di Cavour. Vi entrarono in massa personaggi che poco o nulla sapevano dell’Arte Muratoria, ma che occupavano posizioni sociali di rilievo ed erano ardenti patrioti. Fu la massoneria a selezionare la borghesia compradora italiana, che sostituì gli amministratori e gli sbirri austriaci e assorbì al proprio interno quelli borbonici.

Esiste quindi una continuità nella trasmissione del potere da una generazione all’altra, attraverso i meccanismi ben noti del nepotismo, della raccomandazione e della corruzione. Tale continuità è assicurata dalla massoneria. È l’Ordine a garantire l’impunità della casta al potere, poiché controlla contemporaneamente il potere legislativo, esecutivo e giudiziario e perché mette in relazione il magistrato col il malavitoso, il politico corrotto col faccendiere corruttore, l’élite italiane e con quelle straniere.

Finanza, massoneria e borghesia compradora

Lo schema che abbiamo delineato si palesa chiaramente nella storia di Adriano Lemmi, il “banchiere del Risorgimento”, Gran Maestro della Massoneria negli anni tra il 1885 e il 1896. Egli fu il punto di congiunzione tra il mondo dell’alta finanza e la borghesia compradora italiana. Lemmi fu l’eminenza grigia dietro il primo ministro Francesco Crispi, che era a sua volta un “33” del Rito Scozzese. Confrontando le date, possiamo dire che l’epoca della Destra storica coincide interamente con la gran maestranza di Lemmi.

Fu Lemmi a creare una Loggia supersegreta, la Loggia di Propaganda, per nascondere l’affiliazione massonica dei personaggi più autorevoli e influenti del tempo: banchieri e uomini politici. Quando il Venerabile Licio Gelli assurse a eminenza grigia della Prima Repubblica, non fece altro che ricopiare i metodi di Lemmi creando la Loggia Propaganda 2 (o più semplicemente P2).

Come ogni borghesia compradora, anche quella italiana è tradizionalmente corrotta, inefficiente e arrogante. Il primo scandalo dell’Italia unita fu quello delle Ferrovie meridionali, nel quale Lemmi figura come l’organizzatore di un giro di mazzette che coinvolse faccendieri, uomini politici e avvocati. Poco più di un secolo dopo, la storia si è ripetuta con lo scandalo della metropolitana di Milano, per il quale il Presidente del Consiglio Bettino Craxi e altri furono condannati per corruzione. Possiamo aggiungere che Craxi e Martelli, nel 1981, avevano letteralmente comprato il Partito Socialista con i soldi messi a disposizione dalla P2 secondo le dichiarazioni dell’on. Cicchitto.

La super-loggia di Gelli fu coinvolta anche nello scandalo del crack del banco Ambrosiano, al quale va collegata l’uccisione del banchiere massone Roberto Calvi. Pure qui nulla di nuovo sotto il sole: nel 1893 il governo Giolitti cadde a causa dello scandalo della Banca romana, una truffa colossale di cui Lemmi era – di nuovo – il regista. Pure negli odierni scandali bancari si può leggere, dietro alle collusioni tra politica e finanza, la lunga mano della massoneria.

Certi fenomeni criminogeni si ripetono periodicamente nella storia italiana proprio a causa del peccato originale della genesi dell’Italia unita: un’operazione colonialista condotta in nome del grande capitale, nel quale la massoneria ha giocato un ruolo decisivo.

I Rothschild e i loro agenti

Fu la grande finanza ebraica a spingere i governi europei a intraprendere le iniziative coloniali dell’Ottocento. Ciò accadde perché il grande capitale non trovava più sufficientemente remunerativi gli investimenti nelle loro nazioni d’origine. Il caso italiano non fa eccezione.

Furono i Rothschild di Parigi e i loro agenti a Parigi, Londra e Ginevra a finanziare le guerre d’indipendenza, la costruzione di cantieri navali, ferrovie e fabbriche di armi, l’allestimento di una moderna flotta. Re Vittorio Emanuele II e Cavour contrassero con la finanza ebraica debiti di tali proporzioni da rendere necessario il saccheggio sistematico del resto della Penisola. Questo fu il meccanismo criminale che portò all’unificazione della Penisola.

L’Italia è sempre stata una terra ricca grazie ai suoi porti, alla sua collocazione geografica, alla fertilità della pianura padana, all’ingegnosità dei suoi abitanti: c’era tanto da predare in Italia, allora come oggi.

Il sacco d’Italia iniziò accentrando in un’unica mano la leva della fiscalità a partire dal 1861 e fu condotto per mezzo di un esercito di amministratori corrotti, sbirri e soldati. Così, servendosi della borghesia compradora selezionata e arruolata dalla massoneria, il grande capitale instaurava le sue strutture economiche nella Penisola. Il risultato fu un’ondata di miseria quale non se ne ricordava da secoli: fu a quel punto che milioni di compatrioti iniziarono a emigrare in America con le famose valige di cartone. Oggi il fenomeno si ripete: sono giovani diplomati e laureati che partono per Londra, per Sidney e per Berlino in cerca di opportunità di lavoro che in Italia mancano, piccoli imprenditori che chiudono le loro fabbrichette in Italia per delocalizzare le produzioni, pensionati che fuggono in Portogallo, in Romania o in Tunisia per poter vivere dignitosamente gli ultimi anni della loro vita con quel poco di pensione che si ritrovano. Tutto questo accade perché esiste una casta che nulla produce, ma depreda, dilapida e si vende le ricchezze che dovrebbe amministrare in nome del popolo sovrano.

Cleptocrazia

Dal 1861 la borghesia compradora che governava il Paese impose al Sud la pesante tassazione che già gravava sul Nord, aggiunse nuovi balzelli come l’odiosa tassa sul macinato, confiscò i palazzi e le tenute fondiarie della Chiesa, che i soliti faccendieri si accaparrarono a prezzi stracciati. Tutto ciò serviva ad alimentare la corruzione, la speculazione e il clientelismo mentre prestiti sempre crescenti venivano richiesti sui mercati alimentando la spirale del debito pubblico. Fu così l’Italia si configurò, fin dall’inizio, come una cleptocrazia ossia un governo basato sul malaffare.

Sia ben chiaro, dove c’è la politica vi è sempre corruzione, in qualunque Paese: tuttavia, tra tutti i Paesi più evoluti, solo in Italia si è affermato un sistema democratico basato sulla corruzione sistematica e il clientelismo gestito dai partiti. Se infatti venissero meno gli aspetti corruttivi e clientelari del sistema, i partiti imploderebbero su sé stessi perché non hanno alcun seguito popolare e la democrazia in Italia collasserebbe.

Storia d’Italia in pillole

La storia d’Italia potrebbe dividersi agevolmente in tre periodi storici caratterizzati dalla sudditanza nei confronti di diversi comitati d’affari. Questi comitati sono formati da grandi famiglie di banchieri israeliti.

Il primo periodo potremmo chiamarlo rothschildiano ed è già stato analizzato: è il periodo delle guerre risorgimentali, finanziate da una cordata di banchieri israeliti parigini, londinesi e ginevrini guidati dal ramo francese dei Rothschild.

Il secondo periodo ha inizio con la gran maestranza di Adriano Lemmi e copre gran parte dell’epoca dell’Italia liberale. È il momento in cui i grandi banchieri mitteleuropei irrompono con i loro capitali in Italia, orientando le scelte strategiche dei nostri governi in senso autoritario, filo-germanico e antifrancese. Nel 1894 viene fondata dall’israelita polacco Otto Joel la Banca Commerciale Italiana con la benedizione del figlio di Bismark, che militava nella stessa loggia massonica del Kaiser. La BCI operò come cavallo di troia per la penetrazione dei capitali tedeschi nei Balcani e nell’Impero ottomano. Sotto la regia dell’israelita e massone Giuseppe Volpi, del patrizio veneziano Pietro Foscari e di Bernardino Nogara la banca organizzò il colpo di stato dei Giovani Turchi contro il sultano Memhet V, che fu tenuto prigioniero nella filiale di Istanbul. Durante il fascismo Volpi diventò ministro. Foscari entrò in politica e negli ultimi mesi di vita sostenne Mussolini promuovendo la fusione tra nazionalisti e fascisti. Bernardino Nogara fondò e diresse lo IOR, la potente banca vaticana sorta per amministrare le immense ricchezze che Mussolini offrì alla Santa Sede in occasione dei Patti lateranensi: 1.200 miliardi di euro in monete d’oro più altri 900 miliardi in titoli di stato. E’ proprio a cavallo tra Otto e Novecento che nei circoli politici e finanziari tedeschi nasce l’idea di comprare l’Italia, che è l’obbiettivo segreto del progetto europeista della Germania.

Il dominio della finanza mitteleuropea in Italia ha fine durante la Prima guerra mondiale. Infatti nell’agosto 1914 Alfred Rothschild sollecita la rottura tra l’Italia e gli Imperi centrali e invita il nostro governo a unirsi alla Francia e alla Gran Bretagna nella Prima guerra mondiale. Da quel giorno ha inizio una lotta senza esclusioni di colpi per estromettere Otto Joel dalla direzione della Banca Commerciale Italiana, che era il principale canale del grande capitale in Italia. Lo scontro si conclude con la sostituzione di Otto Joel con il cugino Joseph Toeplitz e l’ingresso in guerra dell’Italia. Durante la Prima guerra mondiale ingenti capitali inglesi e francesi sostituiscono provvisoriamente quelli tedeschi.


Per effetto degli affari conclusi durante la guerra gli uomini più ricchi al mondo si trovavano in America e si erano organizzati in un comitato d’affari gestito da poche famiglie ebraiche originarie della Germania e imparentate tra loro e cioè i Warburg, gli Schiff, i Loeb, i Khan, i Lamont e i Guggenheim; ai quali vanno aggiunte le famiglie anglosassoni dei Morgan e dei Rockefeller. In queste famiglie troviamo i soci fondatori della Federal Reserve. Nel 1919 gli anglo-francesi ritirano i loro capitali dall'Italia e subentrano i capitali di Wall Street. E' Thomas W. Lamont, junior partner della JP Morgan Bank, che sostiene il fascismo dalla metà degli anni Venti fino al secondo conflitto mondiale. Inizia il periodo dell’egemonia finanziaria e politica americana in Italia, che viene rinnovata col Piano Marshall e che dura ancora oggi. Infatti durante la Prima repubblica fu l'alleanza strategica tra Cuccia e Mayer a subordinare nuovamente i destini d'Italia alla finanza ebraica americana.

Gli apparati di sicurezza

Un ultimo aspetto va analizzato e riguarda l’intima natura del potere esercitato dalla casta che si è imposta in Italia. Prima di affrontare il problema occorre spostare il nostro orizzonte un po’ più lontano e fare un confronto tra due grandi potenze: gli USA e la Russia. Grazie ai loro porti naturali sugli oceani, ai grandi laghi del Nord e ai fiumi navigabili gli americani furono in grado di sviluppare il commercio interno e internazionale: una florida economia fu sempre il collante della società americana. La Russia al contrario è sempre stata una nazione in gran parte autarchica, con pochi contatti col resto del mondo poiché la maggior parte dei suoi porti sono coperti dai ghiacci per molti mesi all’anno. I suoi territori asiatici sono in gran parte disabitati e sono stati sfruttati economicamente in modo assai limitato finora, malgrado siano ricchi di materie prime di ogni tipo. Ciò accade a causa dei grandi fiumi siberiani, che sfociano nel Mar Glaciale Artico e perciò non sono navigabili per gran parte dell’anno essendo coperti dai ghiacci. Tutto ciò ha concorso a rendere difficili e molto costosi gli spostamenti di uomini e merci sulle grandi distanze e questo spiega perché in Russia, a differenza degli Stati Uniti, non si è mai sviluppata una florida economia. In mancanza di questo, il regime zarista ha sviluppato imponenti apparati di sicurezza che sono giunti fino ad oggi passando attraverso l’esperienza sovietica.

Questa divagazione si è resa necessaria per spiegare come, date le particolari circostanze del processo di unificazione nazionale, attuata mediante la conquista militare e la repressione armata, l’Italia abbia basato a lungo la sua coesione interna sugli apparati di sicurezza. Esercito, marina, aviazione, carabinieri, polizia, guardia di finanza, un servizio segreto militare e ben due servizi segreti civili, più un’organizzazione di controllo e coordinamento dei servizi, garantiscono oggi la sopravvivenza della casta al potere e gli investimenti del grande capitale cosmopolita. Ogni volta che un rivolgimento politico (1922 e 1943) ha avuto luogo in Italia, è stato per il crollo degli apparati di sicurezza: non certo per una crisi economica.

Date queste premesse, occorrerebbe rivedere la storia del fascismo come una fase di un processo storico di lungo periodo che ha certe caratteristiche consolidate nel tempo. Si dovrebbe ammettere, ad esempio, che i governi dell’Italia liberale non hanno esitato a usare l’esercito per reprimere gli scioperi, che le carceri sabaude erano piene di oppositori politici chiamati briganti e che la lotta al brigantaggio si combatteva anche bruciando i villaggi e deportando la popolazione. Si dovrebbe ammettere, ad esempio, che la polizia ai tempi di Scelba non agiva in modo diverso dalle camicie nere nel periodo 1921-22 per reprimere il dissenso, che, in questi casi, aveva un colore politico: quello del comunismo. L’intera storia di questo Paese andrebbe riscritta per smascherare il sistematico ricorso alla coercizione armata degli apparati dello Stato per perpetuare il potere della borghesia compradora asservita al grande capitale cosmopolita e del suo partito: la massoneria.

Conclusione

Per effetto della modernizzazione, delle spese improduttive per le guerre e della corruzione diffusa l’Italia piombò nella spirale senza fine del debito fin dal giorno della sua nascita. Questa continuità storica dovrebbe convincerci che il problema del debito pubblico può essere risolto solo tagliando il nodo gordiano che lega l’Italia alla finanza sionista. Inutile dire che gli sforzi vanno concentrati contro gli agenti indigeni del grande capitale: quella rapace borghesia compradora che sistematicamente depreda gli italiani per mezzo di una fiscalità insostenibile, della svendita degli asset nazionali (le famigerate “privatizzazioni”) e della supina accettazione dei ricatti dei burocrati di Bruxelles. Impossibile disarticolare questo reticolo di interessi, che ha in mano il potere economico, politico e culturale, senza colpire le collusioni tra mafia, politica e affari, che avvengono sotto le volte dei templi massonici. Tutto ciò implica, naturalmente, un’azione rivoluzionaria e non certo democratica. La democrazia, infatti, è una mera recita e presuppone che certi argomenti non possano essere nemmeno discussi.

Senza gli interventi auspicati credo che sarà impossibile sciogliere l’ultimo e il più difficile dei nodi: riconquistare quella sovranità monetaria, di cui Cavour fece gentile dono ai banchieri italiani e stranieri. Solo allora, forse, non saremo più costretti a emigrare da una Patria ingrata perché quella Patria sarà, finalmente, la nostra Patria – e non la nostra galera!

1 commento:

  1. perchè tutto questo genocidio non viene ricordato come giorno della memoria

    RispondiElimina