mercoledì 31 dicembre 2014

Il grido poetico d’Ezra Pound


Il valore evocativo della parola “nuda”, liberata da ogni ornamento.
Guido Cecchi pubblica un libro, di saggi e scritti, di grande interesse letterario: “Nel Segno della
Memoria”. Sono ricerche, originali ed attente, su alcuni personaggi classici e, vi si trovano molti
richiami, avanzati, con sicura esplorazione biografica e critica, su Pavese, Pascoli, Dickinson.
Desidero fermare la mia attenzione su un saggio dedicato ad Ezra Pound che vuole essere una
proposta, essenzialmente biografica, con numerosi spunti e riferimenti critici, tra i quali, ad
esempio,gli incontri che costituiscono il rapporto tra Pound e Mussolini. Pound conobbe Mussolini
nel 1933 e cominciò a scrivere un libro, pubblicato a Londra nel 1935, dal titolo “Jefferson and
Mussolini”. Si tratta di un volume costruito sull’idea di stabilità ed autorità del governo di un
popolo.
 Ritorna spesso sul personaggio.
A Mussolini, nelle poesie e nei “Cantos”, Pound ,assegna il ruolo che il Machiavelli aveva attribuito
a Cesare Borgia in una visione di messianismo storico, ma, a Pound, scrittore e pensatore, la fortuna
non fu amica, durante il periodo fascista, tanto che, rimase nella “nobile minoranza”. Dal 1953, con
la pubblicazione dei “Cantos Pisanos”, inizia la sua presenza poetica imperativa ed efficace.
Al successo contribuiscono letterati anticonformisti.
Le iniziative di Vittorio Vettori, Antonio Pantano, Giano Accame ed altri “, oltre ai convegni
organizzati dal Sindacato Liberi Scrittori. L’opera d’Ezra Pound, pur collegata alle vicende italiane
ed occidentali, non può essere collocata nelle categorie ideologiche, o nelle proposte politiche
presenti, ma, nei metri estetici della forma e nei contenuti lirici. L’idea dantesca della profezia, e
della salvezza nell’òltre Inferno, Purgatorio e Paradiso, è chiaramente proposta, con una forma pluri
linguistica fondata sull’inglese innestato in citazioni greche, latine, tedesche, francesi ed ideogrammi
cinesi. Nei “Cantos” vi sono tre movimenti fondamentali che si rincorrono e che ne costituiscono
l’unità. Si tratta del tempo inteso come una dimensione, della storia proposta come spirale ciclica
della contemporaneità, e della mitologia, riscoperta nei riti iniziatici e nell’eroico. I “Cantos”, nella
loro struttura, sono programmati secondo lo schema del ritorno d’Ulisse, da Troia ad Itaca, e sulle
linee della “Commedia” dantesca. Questa struttura non è rigida, ma, soggetta a molte modifiche. I
“Pisan Cantos”,che avrebbero dovuto costituire una parte del Purgatorio o, l’inizio del Paradiso,
sono, la testimonianza più infernale del poema. Quella che rimane immutata, in Pound, è l’idea del
viaggio che l’uomo deve compiere per salvarsi. Itaca è la meta da raggiungere, la civiltà ritrovata, la
Tradizione che diventa storia.
La vita si manifesta oltre l’esistenza.
Le categorie della logica non sono sufficienti. Il poeta è più avanti sia del filosofo sia dello
scienziato e, rende il presente significante per l’infinito che possiede. In questa visione, l’italiano
esemplare è Dante Alighieri che, con Confucio, è considerato il gran modello poiché svela la storia
attraverso la profezia che nasce dalla sapienza. Il Pound, in ebbrezza poetica, si accompagna a
Dante, ed, in nome di questa scienza, compie atti, temerari ed imprudenti, che rasentano la follia, e,
si sbriciola in frammentarietà visionaria. Si abbandona a lunghi silenzi, polemici, trascorrendo la
logica delle argomentazioni ed interviene, con la sua poesia, per scavare nell’anima e rintracciare la2
profezia che sempre ha percorso i sentieri degli uomini. Tutte le ricerche “italiane” e le grida
poetiche, nascono dall’idea dantesca della struttura come poetica.
Pound morirà, a Venezia, alle ore venti del primo novembre 1972.
Un tramonto, sgranato nel rosso, illuminava il volto profetico del “gran vecchio” – aveva
ottantasette anni – la sua vita era stata avventurosa – aveva amato, sofferto, bestemmiato, creato –
aveva percorso sentieri sconosciuti – sono trascorsi ventotto anni dalla sua morte e, la figura e
l’opera d’Ezra Pound, sono state studiate, con attenzione, liberata dalla faziosità e proposta con
amicizia – il fascista Ezra Pound non fa velo – il poeta ed il pensatore sono una bandiera.
E’considerato il poeta che ha intessuto, nella cultura mediterranea italiana, il filo d’argento
dell’America Anni Venti. Non ha mai ricevuto il Nobel ma, per unanime riconoscimento, è più del
Nobel. Montale impallidisce nei confronti di Pound.
Ezra Pound contro la “religione monetaria”
Dall’inventiva contro l’usura alla crescita del potere finanziario. L’invettiva, di Pound, contro
l’usura è la massima espressione dell’utopia o il trionfo della concretezza e del buon senso? Per
comprendere la visione, poundiana, dell’economia occorre sbarazzarsi di qualche equivoco e
pigrizia mentale: che i termini del dilemma siano ricchezza morale e materiale. Sangue contro oro,
religione contro spirito mondano, disinteresse contro avidità, spirito contro materia, pauperismo
contro opulenza, non c’è solo questo. Ci sono due, alternative, visioni dell’uomo, due “religioni” e
due “filosofie” contrapposte. L’obbedienza, per denaro od al denaro, si pone quale stadio terminale
della razionalità, e moralità, consegnate all’Occidente dal liberismo anglosassone e dall’illuminismo.
Si tratta di un “gigantesco meccanismo”, individuato da Pound quando polemizzava contro l’usura,
ed un meccanismo sorto “sulla decadenza delle altre sorgenti d’obbedienza e di potere: regalità,
Dio, Patria, classe”. La sua forza, tra le altre cose, sta “nell’includere i residui delle fedi declinanti,
disponendo della parvenza di una sua religiosità”.
Un poeta, che fa l’economista, è il colmo dell’”astrattezza”, dunque?
Sarà anche così, ma assai più astratta appare oggi l’“ingegneria” finanziaria che, fa nascere dal
nulla e rigetta, masse ingenti di ricchezza, svincolata dal lavoro e dai bene materiali, lavoro e beni
che poi sono la ricchezza vera, dura, materiale, onorata. La ricchezza, creata dagli “gnomi” della
finanza, è una massa erratica che, non sempre, porta prosperità, ma, spesso delegittima la politica.
Persino il neo liberista Friedmann giudica, con preoccupazione, la crescita del potere finanziario e
delle banche centrali. Dice, l’economista: “L’esercizio di un potere, così arbitrario, ha avuto,
talora, i suoi vantaggi ma, a mio giudizio, è stato, molto più spesso dannoso”. In questo mondo, di
denaro senza ricchezza, l’inventiva di Pound, contro l’usura, è il corto circuito culturale, l’apertura
del varco spirituale, il ribaltamento della prospettiva, l’intuizione geniale che grida davanti ai portoni
dell’accademia, e, che si esprime in una lingua, certo non scientifica, capace di indicare una
prospettiva, un’ipotesi di lavoro, un piccolo tarlo della coscienza che salva dal conformismo e
dall’obbligatorietà della “religione” monetaria. Le osservazioni di Pound non nascono solo dalla
speculazione solitaria di un poeta. L’incontro che produsse in Pound l’interesse, per l’economia,
avvenne nel 1919, a Londra, presso la redazione di “The New Age”, un settimanale che sosteneva un
socialismo di tipo corporativo. Il poeta ebbe la possibilità di conoscere Clifford Hugs Douglas,
“economista eretico”, il quale ebbe vasta popolarità nel periodo tra le due guerre. Fondamentale, per
Douglas, era la distinzione tra credito reale, rappresentato dalla popolazione di un Paese, dalla sua
capacità di produrre beni, in rapporto con la circolazione monetaria, ma, anche dal suo patrimonio
ereditario d’onestà, di cultura e credito finanziario, strumento artificioso per estendere il potere di
una minoranza di speculatori. La tesi del “credito sociale” non piaceva al mondo degli economisti
anche se conteneva un’intuizione che, ha osservato Galbraith, anticipava in qualche modo Keynes.3
Dall’osservazione di Douglas, lo Stato, quando occorrono, sa come far saltare fuori i quattrini,
Pound ricavò uno dei più prediletti fra i paradossi economici: “Dire che lo Stato non può fare e
creare, perché manca denaro, è ridicolo quanto dire che non può fare strade perché mancano i
chilometri”. Pound riuscì anche a far incontrare il “dilettante” Douglas con Keines, ma la sua
iniziativa non ebbe esito felice. Il grande economista doveva, pur sempre, difendere il potere
accademico. Ciò non toglie che, attraverso le tesi di Douglas, Pound arriva ad individuare il carattere
esplosivo d’alcune contraddizioni economiche, come il sovrapporsi insensato della sovrapposizione
e del sottoconsumo. Un conto è capire i problemi, un altro proporli, “scientificamente”, e
politicamente, praticabili. All’intuizione poetica di Pound non si poteva chiedere di più. Il
poeta,economista, è un fecondo paradosso che nasce dall’incontro tra passione, riflessione e
l’ingenuità tipica degli artisti o dei profeti.
Il decalogo
“lavorare meno, lavorare tutti”.
Ingegneri, ed uomini saggi, ci dicono che il problema della produzione è risolto.
L’attrezzatura produttiva mondiale non può produrre tutto ciò che il mondo necessita.
Non c’è la minima ragione di dubitarne.
Con l’aumento dell’efficienza meccanica, la suddetta produzione richiederà sempre meno tempo e
sforzo umano.
Un’economia sana richiede che, per varie ragioni, tale sforzo vada ripartito tra un grandissimo
numero di persone.
Ciò non è necessario, ma, consigliabile.
Non e necessario poiché pochi milioni di schiavi, o di esseri umani attivi per temperamento,
potrebbero, senza dubbio, fare l’intero lavoro per tutti quanti noi.
Ciò accadde nell’Impero Romano e nessuno protestò, a parte qualche schiavo.
Le obiezioni alla schiavitù sono, in parte, ideali e sentimentali.
La schiavitù, apertamente ammessa, è passata di moda.
E’ un puro dogma asserire che: “un essere umano adulto dovrebbe essere pronto a fare una
quantità, ragionevole. di lavoro per mantenersi”.
E’ un’opinione, basata sull’esperienza, quella secondo cui un uomo che cerca sempre di vivere da
parassita e che si rifiuta di fare alcunché di utile, per il benessere generale, e per la conservazione
della civiltà, è solo un essere spregevole e diventa una dannata seccatura non solo per gli altri ma
anche per se stesso.
Afferma un postulato:
“l’uomo dovrebbe avere un qualche senso di responsabilità nei confronti del genere umano”.
Pochissimi hanno un tale senso di responsabilità. Nessun ordine sociale può sussistere molto a lungo
a meno che alcuni, non possiedano tale qualità. La democrazia implica che l’uomo debba assumersi
la responsabilità della scelta, dei suoi governanti e rappresentanti, e della tutela dei propri “diritti”
dai possibili, e probabili, abusi da parte del governo che ha legittimato ad agire, per proprio conto,
negli affari pubblici. Questi abusi in quanto erano politici, in quanto erano privilegi speciali
tramandati dal caos medievale e dagli ordinamenti feudali, sono, stati, di volta in volta, più o meno
sistemati. Jefferson e John Adams osservarono che ai tempi della loro gioventù pochissimi avevano
riflettuto sul “governo”.
C’erano pochissimi scrittori sul “governo”.
C’è abbastanza. Lo studio dell’economia è cosa recente, nell’Ottocento, bastava un baule per
contenere una biblioteca di testi economici. Qualche problema economico potrebbe essere analizzato
per analogia politica, ma, non la maggior parte di loro. Oggi, l’unico problema economico, che
richiede una soluzione d’emergenza, è quello della distribuzione. Ci sono beni a sufficienza, c’è un
eccesso di capacità di produrre beni.4
Perché dovrebbe esserci chi muore di fame?
Ecco, nuda e cruda, la domanda retorica. E’ il problema dei nostri tempi, così come la malinconia di
Amleto era il problema del dispeptico rinascimentale. La risposta è che nessuno dovrebbe morire di
fame. La “scienza”, in altre parole, dovrebbe garantire proprio questo. Come si fa a trasferire quel
che c’è da dov’è non c’è e c’è né bisogno?
Risparmioci la vecchia storia del baratto etc.
Mele in cambio di conigli; biglietti di carta del proprietario che ordina ai servitori di dare al
portatore due barili di birra, titoli generali d’oro, di cuoio; carta con su scritto un “valore”; per
esempio 16 once di rame; metallo a peso; assegni con cifre fantastiche, tutti servono od anno servito
per trasferire ricchezza, grano e carne da un luogo ad un altro, o per trasportare panni di lana dalle
Fiandre all’Italia. (…) E’ abbastanza curioso che, nonostante tutte le lagnanze di coloro che erano
soliti lamentarsi, di essere oppressi ed oberati di lavoro, l’ultima cosa che gli esseri umani sembrano
voler spartire sia il “Lavoro”. L’ultima cosa che gli sfruttatori sono disposti a lasciare che i loro
dipendenti condividano è il lavoro. E’ innegabile che se a nessuno è permesso di lavorare (in
quest’anno 1933), per più di cinque ore il giorno, non ci sarebbe quasi più alcun bisognoso
disoccupato ed alcuna famiglia priva di titoli cartacei sufficienti per consentire di mangiare.
Le obiezioni a questa soluzione sono oltremodo misteriose.
Non ne ho mai trovato una valida, anche se ho incontrato spesso “spiegazioni” molto complicate
dell’aumento dei costi. Sarei pronto a porre, come semplice dogma, che la riduzione della giornata
lavorativa è il primo passo da fare. Riconosco che non è la risposta a tutti i problemi, ma, sarebbe un
valido inizio far sì che il credito sia distribuito tra gran parte della popolazione e far sì che beni, di
prima necessità o di lusso, continuino ad essere distribuiti ed a circolare. Non è la risposta a tutti i
problemi; non lo è nell’attuale situazione d’emergenza, né la scienza economica consiste solo per
questo.
“Uomini siate, non distruttori”
L’opera di Pound è un inno alla solidarietà ed alla bellezza, ma, proposta ed offerta dove non esiste
– bellezza nell’anima. Tra giovani italiani, attivi, in opera di solidarietà offerta, nel magma
balcanico, sono stati falciati, massacrati, dall’umana follia di alcuni elementi del millenario bollore,
in Bosnia.
Accade il 30 maggio 1993, in Europa.
In terra assai lontana, sebbene vicina a noi, ove le zolle s’irrorano di sangue da secoli. Là non esiste
storia ; la vita è regolata dalla sopraffazione ; l’odio atavico è dominante dal filo tagliente delle
lame. Pietà mosse gli uomini di buona volontà. I potenti del mondo, cinicamente distaccati, hanno
fomentato gli eccidi preferendo, magari, sancire qualche affabulatore mesopotamico. Pietà è ignota
ai potenti, pietà è figlia di animi schietti e generosi, mai del calcolo, mai del cinismo.
Volontariato – Parola antica, concretata nei vuoti nostri tempi nei quali il sopravvivere, è, troppo
spesso, l’unica preoccupazione di sconfinate masse drogate da falsi ideali.
Volontariato – Anche di tre italiani adusi a conferire, a quei vortici più cruenti, aiuti e soccorso:
“Sergio Lana, Fabio Moreni e Guido Puletti”.
Tre vite differenti, tre condizioni distinti, tre destini convergenti in quell’unico momento.5
Uno, il più anziano dei tre, trentanove anni, era un volto conosciuto, un uomo normale, un civile
animato dalla volontà di dare speranza di ricevere. Volontari si andava in guerra, ma, Fabio, era un
volontario, in pace, nel cuore di una guerra altrui. Volontario, per condurre propri autocarri, propri
aiuti a gente lontana, sconosciuta, anche ostile, per il passato, almeno che la sventura aveva condotto
al centro del dolore. In guerra, oggi, è storia conosciuta – chi la subita, per anni, nell’adolescenza
non la dimenticata. Un civile, dicevano, le improvvisate confraternite dei volontari sono “armate”
solo di civili – nessuno calcola l’opportunità.
Chi opera sa che rischia, e, può pagare per colpe altrui.
Il volontariato, in qualsiasi termine, è un atto eroico. Eroismo, concetto che, nel nostro tempo, di
abdicazione a qualsiasi virtù s’accosti allo stesso, incomprensibile, perché il fango del cinismo che
tutto invischia ne rende grigio il valore. Cinismo del nostro tempo, ormai secolare, che incombe,
come un pendaglio da forca, su terre ed uomini giocati e venduti da malvagi produttori di odio e di
usura, di distruzione e d’ingordigia. Anima, nel cimitero di vuoti, ed inutili miti, addotti ed indotti da
tante scimmie della persuasione. Cinismo ammantato di uguaglianza, ma, ladro di solidarietà
camuffato, sotto l’indefinito nome della democrazia, ove il demos è, troppo spesso, travestimento
demoniaco a danno dell’uomo. Questo è l’uomo, e l’attimo del suo trionfo - Demoniaco cinismo.
Idiozia del collettivo, illuso da scaltri falsi profeti, troppo spesso piazzisti di armi e droghe, simili
nel diffondere sopraffazione ed intolleranza, come nel distrarre moltitudini di fuorviati con effimere,
false idee senza futuro.
Qualcuno ha tuonato: “In Bosnia si misura la solidarietà!”.
La solidarietà non ha padroni, non ha culla, non ha limiti di spazio e tempo. Pound raccolse le stille
di sangue di una ragazza di Romagna trasformandola in un mito della poesia nel secondo dei
“Cantos” italiano, il 73°.
In Bosnia si muore, anche, per colpa della solidarietà!
La Bosnia è atomizzata in ogni dove!
La Bosnia è in Italia ove, ormai, solidarietà è termine ignoto!
Solidarietà concreta di singoli, ma, sconosciuta al potere.
Violenza del potere esercitata da arroganti ingannatori, diffusori di un finto sociale, senza
solidarietà.
Non era, un tempo, il lavoro “dovere sociale”?
Oggi, sociale è il cinismo – l’era del cinismo. Affabulatori senza morale, preti senza religione,
diffondono, con raffinati, e perversi, mezzi di persuasione, il verbo del cinismo. L’ultimo calore di
genuina umanità svanisce trafitto, in Bosnia, dal cinismo di ogni dove. L’odio bestiale, sconosciuto
alle bestie, è poca cosa al pari del cinismo. A Fabio, alla scelta, all’agiatezza, scartata per il rischio
della solidarietà, ho dedicato questi pensieri. Avrebbe potuto scialare gli attimi di riposo in ozi
dorati, a lui, non lontani, ed avrebbe potuto fare ciò che più desiderava.
Avrebbe – ha voluto.
Scelse, poundianamente, il “fare” per gli altri; la vita, come il lavoro, per lui, è dovere sociale.
Forse Fabio non conosceva Pound, ma, Pound lo disse.
 “To be men, not destroyers” (Uomini, siate non disruttori). Uno degli ultimi moniti d’Ezra Pound,
può essere stato menzionato, anche da Fabio, nel suo ultimo attimo.
Si chiude, momentaneamente, il discorso.6
Vorrei gettare un punto come ha detto Pound in tutta la sua vita verso spazi e tempi futuri, ed
auspico che giovani (età è un vantaggio, non sempre un pregio si è giovani a 60 anni, come ha
dimostrato il Poeta, affrontando la nuova“vita” della condizione carceraria e manicomiale
impostagli dai vincitori, teorici amici ma veri pregio si è giovani a 60 anni, come ha dimostrato il
Poeta, affrontando la nemici, riuscendo ad inventare una giovinezza dello spirito che l’umanità non
ha ancora compreso, che gli studiosi della logora, e convenzionale accademia non riescono a vedere)
abbiamo animo e volontà di partecipare alla concertazione di ciò. Sarei tentato di tracciare il valore
della figura femminile nell’opera poundiana. Impossibile, per il momento, alla mia scarsa
disponibilità di tempo. E per ristrettezza punto alla sintesi.
Dal frammento al tutto.
Una teoria “atomica” che, in fisica, è costante e fondamentale. C’è una figura nell’Olimpo, della
creazione di Pound, che cammina con lo stesso passo di Olga Rudge. L’avvertiva nel canto LXXIII,
il secondo degli “italiani”. Quello che gli idioti avevano tenuto in cantina per decenni e che gli
stessi, senza conoscerlo, avevano condannato, perché passibile di italianismo, di un mare di “ismo”,
nel quale prevaleva il “fascismo”. E allora giù, gli ipocriti, a cassarlo dal novero del Cantos, a
sorvolare persino il numero, creando nel salto, dal 71 al 74, che s’è perpetrato per decenni.
Oggi, si cerca di farsi perdonare l’impertinenza.
Ma, di ciò, non voglio scrivere, per non infierire su tanti meschini che, a Pound, hanno attribuito
nefandezze che, solo loro, hanno saputo compiere. La figura di Olga è spirito ed ombra di quella che
Ubaldo degli Uberti volle pubblicare, il febbraio 1945, su “Marina Repubblicana”, giornale dei
marinai italiani, edito a Vicenza. Già, un giornale di otto pagine per i marinai, che pubblica, nel bel
mezzo d’una pagina, un Canto di poesia, scritto in italiano da un Poeta americano.
Miracolo della Poesia?
O dello spirito inimmaginabile che animava quei tempi, quella gente, quei marinai, quegli uomini di
Lotta? Chi non conosce quel canto si accosti ad esso! E chi lo conosce lo rilegga, lo “mediti…una
ragazza…/un po’ tozza ma bella…/…che eroina”!
E’ un mito esaltato da Pound.
Il valore femminile trasfigurato nell’eroismo, sublimato nell’atto di suprema dedizione che
accompagna gli attimi della donna, nella storia e nel tempo. Storia, contrassegnata dalla maiuscola,
quella che si vive all’alone di civiltà che domina la scena. La millenaria via Emilia, Rimini romana,
malatestiana,ed umanisticamente rinascimentale, il mare senza tempo nel suo incessante rigenerarsi,
il cielo, terso, per l’evocazione cavalcantiana, in atto, nella scena storica, illimitato nel criterio
confuciano che, etica-quale stella polare, domina. Vibrano le corde della poesia, della creazione
mentale, che Pound riesce ad attuare negli schianti, nei lutti, nelle rovine della guerra.
La “guerra mondiale”.
La guerra che, con il grande intuito del Profeta, Pound ha compreso, tra i pochi, essere tragedia
umana oltre i simboli, oltre gli aspetti contingenti, oltre le passioni e le partigianerie: quella guerra è
di ideali, di civiltà, di lavoro contro l’oro, di sangue contro l’oro. Ecco il mito, raccolto e
compendiato, nel sacrificio supremo, nella dedizione irreversibile, assoluta d’una donna, una
“ragazza di Romagna”. E’ il mito, dell’eccelsa cultura che il Tempio Malatestiano rappresenta e del
sacrificio umano. Un mito di morte, di distruzione, di disfacimento verso l’assoluto: mi si trovi non
riesco ad averne uno sotto mano, nella cultura e nella storia, un momento reso unico quale quello7
creato da Pound nel Canto LXXIII. Mi si spieghi, se la Rivoluzione del Golgota, per chi crede nella
fede cristiana, riuscisse ad avere eguali nella creazione mentale d’un uomo.
Ma questo è un uomo.
Colui che con “many errore”, molti errori, ha saputo traghettare il Lete, ma ha varcato, come in
questo caso, le colonne d’Ercole dell’invenzione per elevare il sacrificio femminile oltre ogni limite,
oltre ogni cielo.
Ed Olga è là, in quel mito.
Essa è stata l’eroina d’una vita poundiana che pochi avrebbero saputo vivere, essa ha stemperato gli
anni, le stagioni d’una donna non comune nella ispirazione, nella benevolente custodia d’un focolare
perenne. Olga il sacrificio supremo l’ha compiuto, ogni giorno, senza mai pretendere un minimo
compenso, un minimo di momentanea soddisfazione. Ancora oggi, dopo anni, ho nella mente e negli
orecchi la di Lei voce “Io ho da mettere in ordine le carte, i documenti, di Ezra. Ho ancora tanto da
fare”. Sia monito, Olga, per le donne d’ogni tempo! Anche se simili a Lei furono innumerevoli, che
seppero attendere il ritorno odisseico del proprio, uomo, anche se oltre hanno saputo immolarsi in
sacrifici definitivi, Olga, come la “ragazza di Romagna”, l’”eroina di Rimini”. Oggi,
considerazioni sulla condizione della donna, sulla dedizione di questa, potrebbero sembrare fuori
luogo.
Il di lei ruolo è ormai un criterio fondamentale.
Non è mia intenzione scadere su termini e livelli di “condizione umana”. E’ ciò che, Uomo o
Donna, ciascuno sente di fare e dare… Il Golgota fu “dare”.
A ritroso nella storia umana, il “dare” e “dare” è la ragione della vita. Ma questi attimi divengono
sublimi se il mito diviene metafisico. Pound la saputo rendere (ma i critici d’accademia ancora non
se ne sono avveduti) in Poesia. E ciò gli fu possibile perché al suo fianco era, da decenni, Olga.
Omaggio alla Musa di Ezra Pound
La Musa di Ezra Pound, Olga Rudge, è un’opera storico letteraria riletta in occasione del 99o
compleanno della Signora alla quale è dedicata. Autore, l’indiano docente universitario G. Singh,
dantista, leopardista ed esperto poundiano, di valore mondiale,ed Antonio Pantano, che ha negli
anni, illustrato la vita e le opere sia di Pound sia della di lui compagna, Olga Rudge. Idealmente
nacque su suggerimento del Prof. Singh,che propose a Pantano di unire una serie di proprie poesie in
lingua inglese, con versione italiana a fronte, ad alcuni articoli pubblicati negli anni da Pantano su
vari giornali, riguardanti, ovviamente, Olga Rudge.
E, in conseguenza, Pound.
In pratica, il volume può essere competitivo in quattro sezioni.
La prima – preceduta da una presentazione del personaggio Singh redatta da Pantano – è totalmente
poetica. 16 composizioni in lingua inglese che Singh ha dedicato ad Olga, redigendo negli anni una
raccolta di sensazioni e memorie dovute alla frequentazione della Signora americana e di Ezra
Pound, quando era ancora in vita. Singh non è nuovo per la poesia, perché pubblicò, in molti Paesi
europei, in precedenza, volumi poetici, ed, in Italia, Campanotto di Udine fu due volte editore in tal
senso. Alle poesie, in lingua inglese, è opposta la traduzione in lingua italiana, effettuata dallo stesso
Singh, che della nostra lingua è esperto e docente. L’esordio di questa sezione, intitolato “Per8
Pound ed Olga” suona: “Se il nome di Olga fu coraggio, / poteva captare o definire,/e che il
coraggio stesso non / poteva che chinarsi in/”tacita ammirazione”.
Un atto senza mezzi termini.
Ossequio per il maestro Pound e per colei della quale il Titano della Poesia formulò: “Il suo nome fu
coraggio e si scrive Olga”. La vera lirica di Singh discende dalla nobiltà delle frequentazioni.Con
Pound lavorò per tradurre il poeta indiano, del 400, Kabir. Ma Montale e Luzi, Eliot, Zanzotto e
Sereni furono alcune delle frequentazioni di Singh, il quale ha grande dimestichezza con Dante – ha
collaborato all’Enciclopedia dantesca della Treccani – e con Leopardi. Curatore dell’intero volume
anche sul piano tipografico, Pantano presenta Singh isolando due versi di grande valore dal
professore indiano espressi ad Olga Rudge: “Con tale distacco tu hai/ trionfato sulla morte e sul
tempo”. Le 44 pagine riguardanti le composizioni di Singh scorrono nel ritmo del volume, ma
restano incise nell’anima del lettore. A questi, a colui che si accingerà a studiare l’opera non
sfuggirà la dedica del volume. A Fabio Moreni, uomo di grande generosità elementi che
costituiscono la terza sezione, breve ed incisa, ma preludio alla quarta,che è preziosità per studiosi e
ricercatori in ragione di un compendio di documenti sia sull’attività di Olga Rudge, sia sul grande
fervore nella riscoperta vivaldiana. Documenti e didascalie hanno notevole peso nel criterio del
volume, e sono testimonianza rarissima non solo per la conoscenza poundiana, ma, soprattutto per la
sua musicografia e la storia del settore. L’elenco delle citazioni nel volume, che non sarà posto in
vendita, nelle librerie, ma solo richiesto all’editore. La prima copia del volume è oggi donata ad
Olga Rudge dai due autori, nella dimora della Signora nel castello di Brumengurg, nel comune del
Tirolo, dominante Merano, e l’alta valle dell’Adige. Va detto che sei pagine riproducono autografi di
Antonio Vivaldi nella composizione del“Corus” della Juditha Triumphans e nel frontespizio della
stessa opera, che Olga Rudge, ed il musicologo S.A. Luciani distribuirono negli anni “50”.
Dall’inedito, o dallo sconosciuto, anche agli esperti, è esaltata in questa iniziativa. La gamma delle
arti, dalla Poesia alla Musica, nella luce della Storia. Che, noi, per il sostegno dato nei decenni
all’opera di Ezra Pound, senza riserve di giudizi su alcun piano, condividendo il magistero morale
ed, integralmente, il pensiero e la proposta dottrinaria di Ezra Pound – presentiamo, in anteprima,
con la determinazione di creare su questo aspetto della grande cultura un determinato interesse, e di
squarciare il velo dalle censure preconcetti e dell’ignoranza imposta su questa grande stagione
italiana ed universale. Le informazioni contenute nel lavoro, l’Istituto di Studi Vivaldiani, ancora
operante presso la Fondazione Cini all’Isola di San Giorgio, a Venezia, è stato fondato da Olga
Rudge, 50 anni fa, giustificano la destinazione a tale livello. E’ necessario che sugli elementi
proposti, anche altri ricercatori integrino le indagini al fine di definire sia i rapporti di Pound con la
musica , sia il ruolo del Poeta e di Olga Rudge nella già acclamata “Vivaldi Renaissance”. La
condizione di fondo, e conclusiva, è che gli auguri per il cammino verso il centenario di una Signora
che ha avuto grande ruolo nella cultura del XX secolo, siano ospitati di nuovo in un’esclusiva che
privilegia il costante ruolo culturale e educativo del nostro Centro.
Marzo 2.000


Il Libeccio

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