martedì 28 maggio 2013

Debito sovrano: a lezione dai nazisti


Lezioni di storia recente: la politica monetaria del III Reich

I tedeschi hanno il terrore che l’eccesso di debito pubblico spinga la Bce a stampare grandi quantità di moneta, facendo scoppiare l’inflazione. Intransigenza sui bilanci da risanare, niente emissione di Eurobond e zero acquisti di titoli del debito pubblico da parte della Bce: la cancelliera Merkel sta spingendo l’Europa in una pericolosa recessione e in una crisi di fiducia che potrebbero avere conseguenze devastanti.
Ma i tedeschi dovrebbero ricordarsi di ciò che accadde dopo la Prima Guerra Mondiale, avverte Stefano Sylos Labini dal blog “Sbilanciamoci”: solo lo Stato, attraverso l’emissione di “moneta alternativa”, permise di far uscire la Germania dal baratro nel quale era sprofondata. Titoli pubblici non spendibili, disoccupazione, imprese ferme: un’enorme disponibilità potenziale, che gli Stati europei potrebbero sbloccare trasformando i titoli di Stato in moneta complementare.
Lezioni di storia, che Sylos Labini riconduce al punitivo Trattato di Versailles imposto alla Germania sconfitta: 33 miliardi di dollari da risarcire, senza un piano per la crescita. Di qui la depressione e l’esasperazione che portò al potere Hitler, con 6 milioni di tedeschi (il 20% della forza lavoro) disoccupati e alle soglie della malnutrizione, mentre la Germania era gravata da debiti esteri schiaccianti e con le riserve monetarie ridotte quasi a zero. Ma tra il 1933 e il 1936 si realizzò uno dei più grandi miracoli economici della storia moderna, anche più significativo del tanto celebrato “New Deal” di Roosevelt. «E non furono le industrie d’armamento ad assorbire la manodopera», ricorda Sylos Labini: «I settori trainanti furono quello dell’edilizia, dell’automobile e della metallurgia».
Per il loro “miracolo” economico, i nazisti si erano creati una teoria monetaria alternativa: banconote a volontà, purché i prezzi restassero stabili. Motore di questa alchimia, la fiducia: da imporre con la forza o con la suggestione. «Sorprendentemente – osserva Sylos Labini – l’artefice del miracolo economico della Germania nazista fu un uomo di origini ebraiche, Hjalmar Schacht», ministro dell’Economia e presidente della Banca centrale del Reich. «Il dottor Schacht – rilevò John Maynard Keynes – è inciampato per disperazione in qualcosa di nuovo che aveva in sé i germi di un buon accorgimento tecnico». Ovvero: «Risolvere il problema eliminando l’uso di una moneta con valore internazionale e sostituendola con qualcosa che risultava un baratto: non però fra individui, bensì fra diverse unità economiche. In tal modo riuscì a tornare al carattere essenziale e allo scopo originario del commercio, sopprimendo l’apparato che avrebbe dovuto facilitarlo, ma che di fatto lo stava strangolando».
Il fatto che quel metodo sia stato usato al servizio del male, aggiungeva Keynes, non deve impedirci di vedere il vantaggio tecnico per una buona causa: l’uscita dalla crisi. Per il commercio estero, Schacht ideò un ingegnoso sistema per trasformare gli acquisti di materie prime da altri paesi in commesse per l’industria tedesca: i fornitori erano pagati in moneta che poteva essere spesa soltanto per comprare merci fatte in Germania. Il meccanismo, di stimolo al settore manifatturiero, funzionava come un baratto: le materie prime importate erano pagate con prodotti finiti dell’industria nazionale, evitando così il peso dell’intermediazione finanziaria e fuoriuscite di capitali. Lo Stato tedesco potè dunque creare la moneta di cui aveva bisogno nel momento in cui manodopera e materie prime erano disponibili per sviluppare nuove attività economiche, anziché indebitarsi prendendo i soldi in prestito: e questo, senza essere punito dai mercati mondiali dei cambi con la svalutazione del marco.
In realtà, aggiunge Sylos Labini, non venne praticata la stampa diretta di moneta, poiché il principale provvedimento di Schacht fu l’emissione dei Mefo, obbligazioni emesse sul mercato interno per finanziare lo sviluppo. Fu direttamente la Reichsbank, la banca centrale di Stato, a fornire agli industriali i capitali di cui avevano bisogno: non lo fece aprendo a loro favore dei fidi, ma autorizzando gli imprenditori ad emettere delle cambiali garantite dallo Stato. Con queste “promesse di pagamento”, gli imprenditori pagavano i fornitori. Se coi Mefo si fosse passati all’incasso simultaneamente, la banca centrale avrebbe dovuto emettere moneta scatenando l’inflazione, ma gli industriali tedeschi si servirono dei Mefo come mezzo di pagamento fra loro, senza mai portarli all’incasso, trasformando quei titoli in «una vera moneta, esclusivamente per uso delle imprese, a circolazione fiduciaria».
Il sistema, spiega “Sbilanciamoci”, funzionava grazie alla fiducia che il regime nazista riscuoteva presso i suoi cittadini e le sue classi dirigenti. Una fiducia ottenuta non solo con la propaganda e la ferocia, ma anche attraverso il progressivo miglioramento delle condizioni economiche della popolazione: il riassorbimento della disoccupazione e la crescita dei salari del popolo tedesco senza alimentare l’inflazione. Risultati spettacolari: nel gennaio 1933, quando Hitler sale al potere, i disoccupati sono oltre 6 milioni; a gennaio 1934 si sono quasi dimezzati e a giugno sono ormai 2,5 milioni; nel 1936 calano ancora a 1,6 milioni e nel 1938 non sono più di 400 mila. Fu questa ripresa economica ad accrescere il consenso del regime, che poi “suicidò” la Germania dopo aver aggredito il resto del mondo. Ma se la causa tedesca fu scellerata, ammonisce Keynes, non per questo perde valore la geniale manovra di Hjalmar Schacht, l’inventore della “ripresa senza inflazione”: gli effetti Mefo erano un valore parallelo e “invisibile”, privo di conseguenze psicologiche sulla popolazione. Processato e assolto a Norimberga, in seguito Schacht spiegò d’aver pensato che, se la recessione manteneva inutilizzato lavoro, officine e materie prime, doveva esserci anche del capitale parimenti inutilizzato nelle casse delle imprese; i suoi Mefo non avrebbero fatto che mobilitare quei fondi dormienti. In realtà erano proprio i fondi a mancare nelle casse, non la manodopera: e Schacht sapeva che la prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti con elevato interesse a nazioni in difficoltà economica.
Un economista britannico, Claude William Guillebaud, ha espresso con altre parole lo stesso concetto: «Nel Terzo Reich, all’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono la domanda di lavoro, nel momento in cui la domanda effettiva è quasi paralizzata e il risparmio è inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti (con gli effetti Mefo, che sono pseudo-capitale); l’investimento rimette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea dei redditi, e poi dei risparmi, grazie ai quali il debito a breve termine precedentemente creato può essere finanziato [ci si possono pagare gli interessi] e in qualche misura rimborsato». Per evitare malintesi, sottolinea Sylos Labini, è bene ricordare quale mostruosa macchina sterminatrice fu il nazismo: ma resta attualissimo lo studio della politica economica della Germania di allora, che riuscì a risollevare un paese allo stremo: «Una politica che, con i dovuti accorgimenti, potrebbe essere riproposta nell’Europa di oggi dove la disoccupazione ha raggiunto livelli inaccettabili».
La Germania ultra-intransigente della cancelliera Merkel «dovrebbe tener presente che fu la scarsa lungimiranza delle nazioni che vinsero la prima guerra mondiale a determinare l’esplosione del debito, la sua monetizzazione e l’iperinflazione», aggiunge l’analista di “Sbilanciamoci”. Se i vincitori di ieri schiacciarono la Germania dando vita allo spirito di rivalsa hitleriano, la Germania di oggi, super-produttiva, dovrebbe fare attenzione a non deprimere col suo rigore il resto d’Europa: fu proprio l’aiuto di Stato, allora, a rimettere in piedi le infrastrutture, rilanciare l’industria civile e quindi di riassorbire l’enorme disoccupazione. «Esattamente ciò che, con le dovute differenze, bisognerebbe fare oggi in Europa, ma che viene impedito dalla politica egoistica e suicida del governo di destra guidato da Angela Merkel», che vieta alla Bce di lanciare le obbligazioni europee «che potrebbero avere la stessa funzione delle obbligazioni Mefo ideate da Schacht».
Se consideriamo il sistema dei titoli Mefo, forse la debolezza che deriva dall’enorme debito pubblico potrebbe diventare un punto di forza, ipotizza Sylos Labini: «I titoli del debito pubblico potrebbero costituire una massa monetaria gigantesca in grado di finanziare lo sviluppo dell’economia italiana», anche se la possibilità che i titoli pubblici possano essere utilizzati negli scambi e negli investimenti sostituendo la moneta «non sembra che sia stato compreso appieno sul piano teorico». Notizia di questi giorni: il corposo debito della pubblica amministrazione con le imprese – circa 70 miliardi di euro – verrebbe corrisposto in titoli di Stato, per dare fiato alle imprese strozzate dalla stretta creditizia. Un’ipotesi caldeggiata dal ministro Passera e che non dispiace a Confindustria, artigiani e commercianti, anche se per ora riscuote le perplessità di Ragioneria e Tesoro.
Per attuare una strategia di questo tipo, avverte Giuseppe Guarino sul “Manifesto” dello scorso 4 dicembre, sarebbe essenziale la trasformazione del debito estero in debito interno. In questo modo, si potrebbe stabilizzare il valore dei titoli del debito pubblico e sarebbe possibile sfuggire alla “dittatura dei mercati finanziari”: in Giappone, un paese a moneta sovrana che ha un debito pubblico doppio rispetto all’Italia ma non ha il problema dello spread, è prevista l’emissione di particolari certificati del Tesoro da riservare al risparmio delle famiglie con rendimenti sicuri e ancorati all’inflazione, che sfuggono alle micidiali aste. “Nazionalizzando” il debito, i titoli pubblici potrebbero circolare e sarebbero usati nel mercato interno come strumenti di pagamento: «Se invece i titoli pubblici sono detenuti da soggetti esteri – aggiunge Sylos Labini – grosse vendite fanno svalutare questi titoli intaccando la possibilità di utilizzarli come strumenti di pagamento sul mercato interno». Inoltre, i titoli accumulati all’estero vengono sottratti alla circolazione e di conseguenza perdono la loro funzione monetaria.
Far rientrare in Italia una parte consistente dei Bot? Obiettivo: evitare operazioni speculative da parte delle banche d’affari detentrici dei Bot italiani, che guadagnano non solo sulle pressioni al rialzo sui tassi di interesse sui Bot di nuova emissione, ma soprattutto, sul valore dei titoli derivati che assicurano i titoli di Stato (Credit Default Swaps). Quindi bisognerebbe costruire un sistema di compensazione fra imprese, aggiunge “Sbilanciamoci”, facendo funzionare i Bot rientrati come una moneta complementare: non più solo una riserva di valore, ma una “valuta virtuale” capace di finanziare l’attività produttiva. Meglio se il nuovo sistema non fosse limitato solo all’Italia, ma venisse esteso almeno ai Paesi del Mediterraneo: che sarebbero in grado di agire come un nuovo sistema innovativo e commerciale.
In conclusione, ribadisce Sylos Labini, i titoli pubblici sono un tipo di moneta che può essere usata per fare pagamenti di una certa entità dove non serve il contante. Il loro controvalore monetario si regge sulla fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento. E uno Stato ricco come l’Italia, che ha un bilancio pubblico sotto controllo, è perfettamente in grado di assicurare questa fiducia. Certo, un progetto che si ponga l’obiettivo di utilizzare i Bot come strumento di pagamento richiede delle misure per stabilizzare il valore dei titoli di Stato. E la stabilizzazione del valore dei titoli comporterebbe diversi benefici, tipo: allentare la morsa dei mercati finanziari internazionali sulla finanza pubblica, garantire rendimenti sicuri al risparmio delle famiglie, utilizzare i titoli di Stato come moneta complementare. Quindi: vale la pena studiare l’economia sovrana del Giappone, le monete complementari che già esistono nel mondo (compreso il Sardex italiano) e – nazismo a parte – rivalutare il “miracolo” tedesco sostenuto dallo Stato: non quello di Angela Merkel, ma quello di Hjalmar Schacht.
(segnalato da Stefano Taddei)

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