giovedì 20 dicembre 2012

Ettore Ovazza e i suoi sodali: un fascismo ebraico intransigente ?


 Ristampa.
Sionismo bifronte, il J’accuse del banchiere ebreo fascista al giudaismo nazionalista

Prossimamente, in occasione dei settant’anni dall’assassinio di Ettore Ovazza – banchiere ebreo e fascista fierissimo - verrà ristampato uno dei suoi libri più controversi: Sionismo bifronte (1935).
Un vero e proprio j’accuse rivolto al sionismo nazionalista.

Va detto subito che parlando di questo volume si toccano tre temi delicati: quello dei rapporti tra fascismo ed ebraismo (inaugurato in Italia dal De Felice), quello del giudaismo antisionista e, di conseguenza, quello relativo ad una certa complementarità tra sionismo ed “antisemitismo”.
In questo primo articolo parleremo principalmente del primo argomento.
È innanzitutto necessario rispondere ad una domanda preliminare: come furono affrontate dagli ebrei le mutazioni politiche europee che attraversarono i secoli XIX e XX?
Parlando specificamente del caso italiano, l’adesione al cosiddetto “risorgimento” e alle istituzioni dell’Italia liberale fu quasi fisiologica per quella parte del giudaismo che si era sentita emancipata dallo Stato sabaudo. Il forte influsso massonico sull’unificazione, il carattere antipapalino dei moti risorgimentali e certamente la speranza di un nuovo ruolo nel neonato Regno d’Italia furono per molti israeliti ragioni di una chiara compenetrazione con il nuovo Stato.
Fatta questa premessa, vanno evidenziati alcuni aspetti centrali che sono ineliminabili rispetto alla corretta comprensione dell’identificazione degli ebrei peninsulari con quella stessa nazione italiana che di lì a sessant’anni sarebbe diventata la “Patria fascista”.
Se è vero che le cause dell’adesione al processo di unificazione e allo Stato liberale furono tra le più disparate, deve essere sottolineato quanto l’Italia di Mussolini fosse mutata rispetto all’Italia dell’Ottocento in termini di ruolo internazionale, complessivo orientamento politico-ideologico, relazioni intrattenute: risulta evidente che l’identificazione col Regno sabaudo nel XIX secolo e con lo stesso Regno negli anni del fascismo, implicasse una Weltanschauung in diversi casi antitetica in ragione di quegli stessi elementi politici, ideologici, simbolici, culturali di cui abbiamo fatto cenno.
I nazionalismi che hanno caratterizzato l’Ottocento – e il caso italiano si inserisce appieno in questo insieme – erano in parte votati alla rottura dell’idea universalistica e cristiana di una realtà imperiale che guidasse le sorti d’Europa (e con essa di altre regioni del globo): la graduale sostituzione di questo ordine tradizionale con Stati nazionali di stampo spesso liberale riguardò da vicino diversi settori ebraici che, come abbiamo detto, non si fecero sfuggire la preziosa occasione di un nuovo spazio politico. L’attacco all’idea di impero cristiano non mancò di divenire un assalto alla Chiesa Cattolica. La Frammassoneria e altri circoli internazionali operarono in modo attivo sia all’interno dei corpi nazionali sia a livello di equilibri mondiali, per la realizzazione di un progetto di distruzione del principio tradizionale di autorità e di obbedienza religiosa.
Questi e altri fatti, come abbiamo accennato, hanno guidato un mondo – che in parte continuava a credere a principi universali e tradizionali al tempo stesso – verso un sistema fondato su un universalismo distorto e cosmopolita, accompagnato – quanto meno fino alla Seconda Guerra Mondiale – dal trionfo particolaristico di certi nazionalismi che risultavano essere - facendo ricorso al principio del solve et coagula - un utile strumento per sostituire l’ordine antico con un nuovo ordine.
Per diversi israeliti aderire a questo percorso non risultava difficile, tanto più se esso era accompagnato dalla diffusione degli ideali rivoluzionari “Liberté, Égalité, Fraternité” e dalla conseguente emancipazione: nella Penisola l’adesione di elementi ebraici alle società segrete e ai moti rivoluzionari fu consistente1 (e allo stesso tempo la Chiesa guidava una guerra senza quartiere alla Frammassoneria scomunicando quei fedeli – non pochi - che erano stati iniziati). L’Italia nasceva con la benedizione della Logge e Vittorio Emanuele II, che già per le sue leggi anticattoliche nel Regno di Sardegna vide San Giovanni Bosco profetizzargli la progressiva morte di larga parte della sua famiglia, finì scomunicato da Pio IX.
È poco noto in campo storico che in effetti, già prima dell’unità, Don Bosco avvisò il sovrano di suoi sogni luttuosi e profetici collegati all’approvazione delle legge presentata da Rattazzi. Vittorio Messori a tal proposito scrive: “La discussione iniziava alla Camera il 9 gennaio 1855 e subito dopo si metteva in moto una tragica successione che costringeva l’assemblea a continue chiusure per lutto. Tre giorni dopo, in effetti, il 12 gennaio moriva all’improvviso - non aveva che 54 anni - la piissima regina madre, Maria Teresa. Otto giorni dopo, il 20 gennaio, era la volta della moglie del re, Maria Adelaide, 33 anni. L’undici febbraio toccava al solo fratello maschio del sovrano, anch’egli trentatreenne, Ferdinando, duca di Genova. Dicono le “Memorie”: «Non era mai avvenuto, nemmeno nelle pestilenze più crudeli, che in meno di un mese si aprissero tre tombe per accogliervi le salme di principi così strettamente uniti in parentela al Sovrano». Purtroppo la serie non era ancora terminata, ché -mentre la legge, approvata dalla Camera era in discussione al Senato- il 17 maggio di quello stesso anno moriva il figlio nato a Vittorio Emanuele dalla moglie Maria Adelaide l’8 gennaio, pochi giorni prima del decesso. Come la madre - e come tutti gli altri morti di questa storia, del resto - il piccolo (battezzato come Vittorio Emanuele Leopoldo Maria Eugenio) godeva di ottima salute e la sua fine fu improvvisa. Scrive Lemoyne, impassibile, se non implacabile: “In quattro mesi il Re aveva perduto la madre, la moglie, il fratello e il figlio. Il sogno di don Bosco erasi pienamente avverato”2.
Tornando al tema della partecipazione ebraica al Risorgimento un altro piccolo aneddoto può essere raccontato. Pio IX aveva minacciato di scomunicare il primo soldato italiano invasore ma per ironia della sorte, trovò infruttuosa la sua dichiarazione: «l’anatema non ebbe effetto: il soldato era “giudio”». Ricorda Giovanni Cecini: “la 5ª batteria del 9° reggimento che aprì la breccia delle mura capitoline era comandata dall’ebreo capitano Giacomo Segre, come ebreo fu l’ufficiale Mortara, che comandò il primo assalto alla breccia stessa”3.
Di lì a qualche decennio di tutto questo rimasero alcuni imbarazzati ricordi. Con l’arrivo del fascismo, l’Italia si riconciliava sostanzialmente col Cattolicesimo Romano, la Massoneria veniva messa – quantomeno nominalmente – fuori legge, l’aspetto liberale-parlamentare delle istituzioni sfumò, l’avvicinamento alla Germania nazionalsocialista si fece chiaro a partire dalla seconda metà degli anni ‘30.
Come reagirà quindi il giudaismo assimilato italiano di fronte a questi cambiamenti? Come muterà la “fedeltà all’Italia” nella “fedeltà alla nuova Italia di Mussolini”?
Se è vero che ebbero luogo reazioni non univoche di fronte ai diversi aspetti citati e, in generale, rispetto ai frutti della rivoluzione fascista, va detto che complessivamente l’ebraismo italiano si adattò, come non raramente nella storia israelitica, alle nuove circostanze politiche: lo stesso rabbinato in diversi casi omaggerà e legittimerà apertamente l’Italia di Mussolini, secondo una tradizionale pratica di ossequio al potere4.
Vi furono – pare scontato affermarlo – diversi esempi di ebrei antifascisti e resistenze ebraiche che a vario titolo si opposero all’avanzata del fascismo, valgano come esempi, tra gli altri, l’alta adesione proporzionale di ebrei al gruppo antifascista Giustizia e Libertà o alla lista di professori che non vollero sottoscrivere il giuramento di fedeltà al fascismo. Precisato questo, risulta pacifico che la massa israelitica non si caratterizzò per un antifascismo compatto e riconoscibile. Con ragione è possibile sostenere il contrario: se vi furono diffidenze iniziali, con il consolidamento del regime la situazione si chiarificò e le relazioni si strinsero, sia in ambito generalmente ebraico sia in ambito sionista.
Lo Stato fascista fino alla legislazione razziale vide un numero rilevante di ebrei nei suoi apparati anche ad alti livelli dirigenziali, addirittura - nel 1938 - diverse migliaia di ebrei italiani erano iscritti al Partito Nazionale Fascista e persino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale non mancarono richieste, provenienti da maschi giudei, di arruolamento nelle forze armate, anche a costo di combattere a fianco della Germania di Hitler. L’Unione delle Comunità Israelitiche, dopo il 10 giugno 1940, farà nuovamente presente al governo la disponibilità degli ebrei italiani di mettersi a disposizione.
Senza dubbio tra i molti israeliti fascisti non mancavano gli opportunisti o i conformisti ma, a fianco di questi, era emersa la figura di un “ebreo in camicia nera” che dimostrando fedeltà mussoliniana, zelo patriottico e un acceso antisionismo voleva dare prova della sua incompatibilità con quei correligionari che tanto sospetto generavano sulla loro adesione al regime e alla Patria.
Anche sull’onda di alcune campagne di stampa rivolte contro il mondo ebraico, questo bisogno di smarcarsi da altri ebrei – e con essi dalle accuse di far parte di una quinta colonna anti-italiana – porterà in diverse circostanze al desiderio di mostrarsi più fascisti dei fascisti.
Uno dei casi più eclatanti all’interno dell’ebraismo italiano è probabilmente rappresentato da Ettore Ovazza. Banchiere torinese, figlio di Ernesto che fu Presidente della Comunità Israelitica di Torino.
Ettore era stato - come descritto nella Nota Editoriale di Sionismo bifronte - “marciatore su Roma, probo cittadino, silenzioso mecenate, fedele ed entusiasta combattente della milizia politica”, onorato “da due udienze del Duce”.
Gli Ovazza erano un’importante famiglia della Torino di quegli anni. Carla – nipote di Ettore – si sposerà con Jean-Paul Elkann e sarà madre di Alain (giornalista), a sua volta marito di Margherita Agnelli. Il quotidiano torinese “La Stampa” nel gennaio 2010, parlando di Carla, scriveva:
Alla Columbia University di New York, da ragazza, incontra Jean-Paul Elkann. Sposa il bell’uomo, raffinato esponente dell’aristocrazia ebraica di Parigi. Avranno un unico figlio, Alain. Ma l’unione ha breve durata. E lei desidera ostinatamente tornare a Torino. Vi era nata il 14 giugno 1922. Studiava al D’Azeglio quando la banca degli Ovazza fu chiusa per le leggi razziali del 1938 e Carla con i genitori Vittorio e Olga Fubini riuscì a scappare oltreoceano. Il nonno, Ernesto Ovazza, era il presidente della Comunità ebraica5.
Ernesto Ovazza lo incontreremo anche nelle pagine del libro. Il suo patriottismo fu il germe da cui molto probabilmente scaturì il fascismo entusiasta del figlio Ettore. Emblematico l’epitaffio inciso sulla sua lapide nel 1926:
«Patria, fede e famiglia»: queste le parole scelte nel 1926, poco prima della sua morte […].
Tutta la sua vita si era svolta all’insegna di quei tre valori che egli desiderava ricordare e ribadire ancora una volta. Ernesto Ovazza, discendente di una delle storiche famiglie del ghetto torinese, gestiva nella città sabauda l’omonima banca privata, fondata nel 1866 dal padre Vitta Ovazza.
La banca, con sede in piazza Carlina, appena al di fuori del vecchio ghetto, diventò uno degli istituti privati più attivi della città, annoverando tra i propri clienti molte delle più illustri famiglie dell’aristocrazia torinese6.
Ettore incrementerà l’ardore paterno, mettendosi alla guida di quegli ebrei che, più di tutti, desideravano definirsi patriottici, fascisti ed avversari del sionismo.
Sempre nella Nota Editoriale7 del libro, la devozione mussoliniana dell’autore è sottolineata in modo inequivocabile. Si parla dell’ebreo torinese come di un cittadino con “una buona tempra di italiano che ha saputo, senza crisi di coscienza e senza assurdi od equivoci compromessi, sposare la fede religiosa col sentimento nazionale”. In ossequio all’ebraismo peninsulare si scrive che la rivoluzione di Mussolini aveva aperto “la via a tutte le libertà dello spirito [non in contrasto] con le leggi unitarie della vita nazionale” e che la comunità israelitica italiana aveva perfettamente compreso queste leggi, le aveva fatte sue. L’israelita cittadino italiano aveva “saputo diventare un buon fascista conservando intatta la sua fede religiosa”. Si pensi, per comprendere ulteriormente il carattere patriottico dell’autore di Sionismo bifronte, che rappresentò “il ritorno a casa dei reduci della “vittoria mutilata” […] in una pièce teatrale scritta nel 1920, pubblicata nel 1921 e messa in scena dai fascisti sansepolcristi l’anno successivo”8. Rimaneggiò poi il finale “per renderla una sorta di epopea della marcia su Roma”9.

Note
1 G. CECINI, I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo fascista, Mursia, Milano 2008, pag. 14.
2 V. Messori, “Le profezie «politiche» di san Giovanni Bosco”, Studi Cattolici, 32 (1988) n. 326/327, p. 290-292.
3 G. Cecini, I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo fascista, Mursia, Milano 2008, pag. 16
4 #Luca Ventura, parlando del periodico La Nostra Bandiera – di cui Ovazza fu condirettore – e del gruppo dei “bandieristi” scrisse a pagina 38 del suo libro Ebrei con il duce. «La nostra bandiera» (1934-1938): “Laddove sono stati in molti a rimproverare ai bandieristi l’asservimento della religione alla politica, non è però mai stato adeguatamente rilevato che le argomentazioni usate dai bandieristi non differivano di molto da quelle usate da non pochi rabbini nelle sinagoghe, secondo una pratica che precedeva e assecondava i bandieristi anziché seguirli”.
5 Nonna Carla non deve morire. Il nuovo libro di Alain Elkann: nei giorni dell’agonia, la madre rivive attraverso i ricordi di chi l’ha amata, La Stampa, 13-01-2010.
(http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/stampa.asp?ID_blog=54&ID_articolo=2387)
6 Quaderni storici , Edizione 114, Università di Roma - Istituto di storia e sociologia, 2003, pag. 795.
7 Il libro “Sionismo bifronte” uscì per i tipi della “Casa Editrice Pinciana”.
8 V. Pinto, L’ebreo “fascistissimo”. Il fascismo ingenuo, estetico e sentimentale di Ettore Ovazza (1892-1943), Nuova Storia Contemporanea, XV, 5, 2011, pagg. 56, cfr.: A. Stille, Uno su mille, pag. 34.
9 Ivi, pag.58.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18473

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