domenica 28 ottobre 2012

SUD: MOSTRA DOPO L’UNIFICAZIONE EMIGRARONO IN 19 MILIONI


Editoriale Il Giglio - n. 57 – Ottobre 2012


(Lettera Napoletana) - A trasportarli in Nord-America, in Brasile, in Argentina, in Australia erano le navi della Navigazione generale italiana nata dalle Società riunite Rubattino-Florio-Lloyd Italiano, le stesse Compagnie che avevano contribuito a distruggere il Regno delle Due Sicilie ed a realizzare quell’ “Italia unita” nella quale non c’era posto per loro. La Rubattino di Genova aveva fornito nel 1857, fingendone il furto, il piroscafo Cagliari a Carlo Pisacane per lo sbarco a Sapri, in Cilento, respinto dalla reazione popolare. Nel 1860 aveva fornito a Garibaldi i piroscafi Piemonte e Lombardo per invadere la Sicilia. Con i manifesti pubblicitari per i viaggi “solo andata” dei piroscafi che portavano via i meridionali (2 milioni e 749 mila dal 1876 al 1900, il 53% del totale degli emigranti dall’Italia. Tra il 1876 ed il 1961 quasi 19 milioni) si apre la Mostra “Partono i Bastimenti”, allestita dalla Fondazione Roma-Mediterraneo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli (9 ottobre - 13 dicembre 2012). L’emigrazione, praticamente sconosciuta nel Sud fino a prima del 1861, fu un esodo biblico. Ad ondate successive, a partire dagli anni ‘70 del 1800 e fino agli anni ‘60 del 1900, dall’Italia partirono in 25 milioni, secondo i dati dei curatori della Mostra. E se tra il 1861 ed il 1900 si emigrò anche da Veneto (17,9%), Friuli Venezia Giulia (16,1%) e perfino dal Piemonte, economicamente sfinito dalle guerre di conquista risorgimentali (12,5%), nei primi due decenni del ‘900 solo da Sicilia, Campania, Calabria, e Puglia emigrarono quasi 3 milioni di meridionali. Da Ellis Island, l’isolotto davanti a New York dove sbarcavano i disperati dopo la traversata in piroscafo per sottoporsi ai controlli dell’Immigrazione Usa, passarono, tra il 1899 ed il 1931, 3 milioni di meridionali contro 500mila emigranti del Nord-Italia.

A che cosa è servita l’emigrazione post-unitaria? «Rappresentò una valvola di sfogo che impedì l’esplosione di rivolte nelle campagne e nella città, dove non c’era lavoro e gli occupati venivano remunerati con salari da fame», riconosce Francesco Nicotra, curatore della Mostra e direttore dei programmi sociali della Niaf (National Italian American Foundation), la più importante organizzazione di italo-americani. “Partono i Bastimenti accenna anche ad un altro aspetto dell’emigrazione: «a partire dal primi del ‘900 il trasporto degli emigrati rappresentò uno dei più colossali affari dell’epoca». Un affare perseguito cinicamente dalle Compagnie di Navigazione. «(…) le traversate atlantiche erano piene di pericoli - scrivono i curatori della Mostra nel catalogo - vitto mediocre, malattie contagiose, pessime condizioni igieniche e promiscuità erano cause della morte di moltissimi passeggeri, soprattutto bambini. Diverse “carrette del mare” gestite da armatori senza scrupoli naufragarono trascinando ogni volta nei gorghi centinaia di sventurati». Ma le rimesse degli emigranti affluivano massicce e finanziavano “l’Italia unita”. Tantissimi soldi arrivavano dai meridionali emigrati negli Usa attraverso i “vaglia garantiti” del Banco di Napoli, che aveva una sede a New York. Una legge del governo italiano del 1° febbraio 1901 aveva istituito il “Servizio delle rimesse degli emigrati”. Il Banco di Napoli acquisì un prestigio notevole negli Usa. Ancora a metà degli anni ‘80, prima della (s)vendita decisa al gruppo INA-Bnl e poi al Sanpaolo di Torino, per molti operatori economici era “la migliore Banca italiana”. Solo nel 1901 l’Italia unita “si accorse” dell’emigrazione, che aveva già assunto dimensioni enormi, ed istituì, con la legge 23/31 gennaio un “Commissariato per l’emigrazione”. L’obbiettivo era ormai diventato quello di limitare il fenomeno per la preoccupazione, dei grandi gruppi industriali del Nord e dei latifondisti del Sud (i “galantuomini liberali), che la manodopera potesse cominciare a scarseggiare. Nel frattempo diverse ondate di emigrazione avevano allontanato gli emigranti politici, quadri amministrativi e soldati borbonici che avevano rifiutato di servire il nuovo Stato ed andarono a formare colonie all’estero. Solo nella guerra civile americana (1861-1865) – secondo i dati dei curatori della Mostra – «combatterono complessivamente (…) da 6mila a 10mila italo-americani» (cioè emigrati, n.d.r.). Ma gli stessi curatori della Mostra ammettono che «“il numero esatto non si conosce perché i nomi degli emigranti venivano americanizzati». Solo un piccolo cenno “Partono i Bastimenti” dedica alle “migliaia di soldati dello sconfitto esercito borbonico” che nel 1861 furono imbarcati per New Orleans “con la prospettiva di essere arruolati nell’esercito degli Stati secessionisti del Sud”.
I soldati borbonici sopravvissuti, che niente sentivano di avere a che fare con l’Italia unita, decisero di restare in America e furono l’avanguardia dell’ondata migratoria proveniente dall’ex Regno delle Due Sicilie. A loro è dedicata appena una vetrinetta, nell’ambito di una Mostra “politicamente corretta”, dove la chiave di lettura proposta per il gigantesco dramma dell’emigrazione è quella di un necessario, per quanto doloroso, tributo pagato alla nascita di questa Italia. A bilanciarla, un’altra vetrina riproduce l’entrata nel Porto di New York, il 14 maggio 1848, della nave (borbonica) Carolina proveniente da Palermo, il cui comandante, il liberale Giovanni Corrao, decise di inalberare la bandiera bianco-rosso-verde. Niente a che vedere con il dramma dei milioni di meridionali costretti dopo l’unificazione a trasferirsi in Paesi che allora apparivano lontani come i pianeti del sistema solare, hanno i “precursori” (così nel catalogo della Mostra), poche decine di intellettuali liberali e di cospiratori carbonari, fra i quali l’immancabile Garibaldi, che scelsero di trasferirsi volontariamente in Nord-America per periodi più o meno lunghi, accolti e protetti dai compagni di setta. Nel giugno 1841 a New York era stata fondata la “Congrega centrale” della Giovane Italia, che aveva sezioni in diverse città degli Stati Uniti. Ma per i milioni di meridionali anonimi che affollavano le banchine dei porti di Napoli e di Palermo, la decisione di lasciarsi l’Oceano alle spalle aveva motivazioni completamente diverse. Era una scelta forzata per non piegarsi al nuovo regime, nel caso dell’emigrazione politica. Per non morire di fame, per tanti altri. La storia di tutti loro è ancora da scrivere. A questa storia “Partono i Bastimenti - che non offre molte immagini e documenti inediti - fornisce un contributo informativo. Certo, è qualcosa più di niente se si pensa che ad aver realizzato la Mostra è una Fondazione romana e non una delle tante che si richiamano (nel nome) al Sud. (LN57/12).

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