venerdì 23 marzo 2012

NEOFASCISMO DI SERVIZIO (SEGRETO)


Il 23 settembre, a Berlino, il ministro della Propaganda del Reich, Joseph Goebbels, annota nel suo diario :”Il vecchio Hindenburg aveva indubbiamente ragione quando disse che nemmeno Mussolini sarebbe mai riuscito a fare degli italiani altro che degli italiani”.
I fatti gli davano ragione.
Benito Mussolini era stato defenestrato con un colpo di Stato istituzionale, affidato alle Forze Armate, imposto da Vittorio Emanuele III e i fascisti non si erano ribellati.
Il Duce era stato abbandonato e tradito dai suoi fedeli che avevano scoperto, per fortuna coincidenza, che prima della “fazione” ( il fascismo ) veniva la Nazione rappresentata da Casa Savoia e dal nuovo presidente del Consiglio, il maresciallo Pietro Badoglio.
Giunse, poi, l’8 settembre 1943.
I nemici divennero “alleati” e gli alleati nemici da cacciare fuori dal territorio italiano che “occupavano” indebitamente, mentre i primi da occupanti divennero inopinatamente i “liberatori”.
Il tradimento perpetrato da Vittorio Emanuele III e dai vertici militari divise l’Italia in due parti ma, nella loro stragrande maggioranza, gli italiani rimasero uniti nell’attesa di vedere chi avrebbe vinto.
La retorica del neofascismo post-bellico che ha voluto vedere 800mila uomini arruolarsi nell’esercito repubblicano, sotto le insegne della Repubblica sociale italiana, non regge all’esame della realtà del tempo, con migliaia di ufficiali che aderirono alla Rsi per non finire deportati in Germania e prendere lo stipendio che il governo di Mussolini gli passava.
La verità vuole che i fascisti, nella Repubblica di Salò, furono una minoranza, osteggiata e combattuta da tutte le altre componenti politiche e militari che erano repubblicane per necessità, solo perché si erano trovate al di qua della Linea Gotica.
E saranno queste componenti a rivendicare, nel dopoguerra, la loro adesione alla “Salò tricolore” contrapposta alla “Salò nera”, quella di Alessandro Pavolini e delle Brigate nere, della Legione autonoma “Ettore Muti” e dei reparti impegnati in prima linea nella guerra antipartigiana.
E la “Salò tricolore” contrapposta a quella “nera” è la mera riproposizione della “Nazione” contrapposta alla “fazione”, che già era servita come alibi ai fascisti del 25 luglio per mettersi a disposizione del maresciallo Pietro Badoglio, come Ezio Maria Gray, futuro senatore del Msi, fra tanti altri.
La malafede di coloro, fra i quali Giovanni Volpe e Alfredo De Marsico, non a caso quest’ultimo fra i traditori del 24-25 luglio 1943 nella votazione del Gran consiglio del fascismo che determinò la caduta di Benito Mussolini, che vollero scindere l’Italia dal fascismo è palese.
Dal 28 ottobre 1922 non esiste l’Italia, da un lato, e il fascismo, dall’altro. C’è solo l’Italia fascista, quella che riesce ad unificare gli italiani tutti, comunisti compresi, con la guerra d’Etiopia, quella che entra in guerra il 10 giugno 1940 per rivendicare il ruolo preminente nel bacino del Mediterraneo.
Ed è il fascismo che, l’8 settembre 1943, riprende le armi accanto agli alleati germanici per rivendicare l’onore d’Italia, riorganizzando lo Stato e le Forze armate, restituendo all’Italia la dignità che la monarchia e i vertici militari le avevano tolto.
La pretesa, quindi, che accanto alla Salò fascista abbia convissuto una “salò tricolore” apolitica o, addirittura, a-fascista o antifascista è falsa, utilizzata strumentalmente da coloro che il 26 aprile 1945 erano subito passati dalla parte dei vincitori prendendo le distanze dai fascisti e dal fascismo.
I tradimenti del 26 aprile 1945 equivalgono quelli del 25 luglio e dell’8 settembre 1943 perché solo uomini senza ritegno e senza dignità personale potevano stringere la mano ai vincitori quando ancora giacevano insepolti i cadaveri degli italiani morti sotto i loro bombardamenti aerei ed altri continuavano a morire dinanzi ai loro plotoni di esecuzione e a quelli dei loro alleati partigiani.
In realtà, la “Salò tricolore” comprendeva coloro che durante la Repubblica sociale italiana avevano rappresentato gli interessi del Regno del Sud e degli alleati come il principe Junio Valerio Borghese che aveva sì aderito alla rsi ma per contrastare i fascisti fino al punto da ipotizzare un possibile colpo di Stato che togliesse a Benito Mussolini la guida del governo repubblicano.
I militari che hanno aderito alla Rsi non hanno fatto parte di un esercito “apolitico”, dopo dichiarato strumentalmente tale, perché era stato lo stesso Mussolini, presente il maresciallo Rodolfo Graziani, a chiarire nel corso di un incontro a Gargnano, il 28 gennaio 1944, con i comandanti regionali:
“L’obbligo di astenersi da ogni attività politica – aveva detto il Duce – non significa indifferenza o agnosticismo. Il giuramento di fedeltà alla Repubblica significa non solo adesione alla nuova forma politica dello Stato, MA ADESIONE AL COMPLESSO DELLE DOTTRINE DEL FASCISMO, CHE DANNO VALORE E CONTENUTO STORICO ALLA REPUBBLICA… Anche i segni esteriori hanno la loro importanza, come indicatori di un orientamento preciso.
Il saluto, manifestazione della disciplina e della gerarchia, sarà sempre a capo scoperto o non, il romano; le stellette saranno sostituite da un gladio romano circondato da un fregio di quercia o di alloro”.
Esercito fascista, dunque, composto da ufficiali e sottufficiali che aderivano senza riserve al fascismo da cui adottavano anche i simboli esteriori: saluto romano e gladio.
Molti di costoro entreranno, successivamente, nelle Forze armate della Repubblica democratica ed antifascista e vi faranno carriera fino al grado di generale di brigata.
La loro presenza nelle Forze armate e di polizia nate dalla Resistenza, contribuirà a creare nel neofascismo post bellico l’illusione di poter contare sui “camerati” con le stellette, dimenticando che proprio costoro avevano tradito tre volte giurando prima fedeltà alla monarchia, poi al fascismo, infine all’antifascismo e che il loro elastico “onore” gli avrebbe consentito di tradire anche la quarta volta, se necessario.
Purtroppo per noi e per l’Italia, la Corte di Cassazione respinge, il 26 maggio 1954, la richiesta di Junio Valerio Borghese di essere “riabilitato” per poter rientrare nei ranghi della Marina militare perché, in tal caso, avremmo avuto un ammiraglio in più e un “sovversivo di Stato” in meno; risparmiandoci equivoci e lutti di cui il paese paga ancora le conseguenze.
A rientrare a pieno titolo nella vita politica e militare della Repubblica nata dall’8 settembre 1943 e dal 25 aprile 1945, non sono quindi gli esponenti del fascismo ma quelli della presunta “Salò tricolore” che il fascismo aveva tradito mentre ancora era in corso la Seconda guerra mondiale.
Sono costoro, esperti nel doppiogioco e nel tradimento, a monopolizzare e strumentalizzare la base fascista, priva di figure di prestigio, illudendola su una rivincita possibile con il sostegno dei “corpi sani” dello Stato contrapposto ad un regime “corrotto e corruttore”.
Sono i protagonisti della inesistente “Salò tricolore” a rivendicare il patrimonio ideale della Repubblica sociale italiana e del fascismo, “ordine di credenti e di combattenti”, per trasformarlo in un’avanguardia esclusivamente anticomunista e nella “guardia bianca”della borghesia timorosa di un’avanzata comunista.
Sono loro a consegnare i giovani ed i giovanissimi neofascisti italiani nelle mani dello Stato antifascista e dei suoi alleati internazionali per farne la massa d’urto contro il comunismo nazionale ed internazionale, la “carne da cannone” da mandare allo sbaraglio agli ordini dei nemici interni ed esteri del fascismo.
La necessità di fermare la “marea rossa” e di evitare che l’Italia possa cadere nelle mani del comunismo, giustifica il progressivo arruolamento dei giovani neofascisti nelle strutture segrete dello Stato e l’inserimento del Movimento sociale italiano nell’apparato paramilitare predisposto dal regime democristiano e dai servizi di sicurezza anglo-americani in funzione anticomunista.
Il Movimento sociale italiano nasce come gruppo di raccordo fra ex combattenti, al servizio degli interessi della Democrazia cristiana, della Confindustria, del Vaticano, delle Forze armate e degli americani che saranno, nella persona di James Jesus Angleton, i patrocinatori della avventura missina.
Per sottolineare il suo ruolo di forza ‘patriottica’, aliena dall’ideologia fascista, i promotori del Movimento sociale italiano mutuano il nome e il simbolo dal Movimento sociale francese che, appunto, ha come emblema una fiamma tricolore.
Ma nella confusione dei tempi, i giovani che formeranno la base del nuovo movimento non sono in grado di distinguere che perfino nel nome e nel simbolo il Movimento sociale non ha nulla da spartire con l’Italia fascista.
L’inganno è reso più agevole non solo dalla personale callidità di Giorgio Almirante, Arturo Michelini, Biagio Pace e soci ma anche dall’ottusa propaganda socialcomunista che lo identifica come movimento “fascista” e ne chiede subito lo scioglimento.
Se buona parte dei fondatori del Movimento sociale sono legati ai servizi segreti americani, gli uomini della Decima Mas, al comando di Junio Valerio Borghese che, dalla prigionia, continua a dirigerli come dipendenti dal servizio segreto della Marina militare guidato dal capitano di vascello Agostino Calosi.
Non meraviglia, quindi, che Sergio Nesi, ufficiale della Decima Mas, già il 25 aprile 1945 firmi con gli americani l’impegno a riprendere le armi nel caso di una guerra contro l’Unione sovietica, né che Tullio Abelli, anch’egli ex appartenente alla Decima Mas, sia trovato dalla polizia, a Torino, il 28 ottobre 1946, “in possesso di un documento rilasciatogli dalla 315 Field Security section intelligence corps che attesta la sua qualifica di informatore della polizia alleata”.
Abelli sarà uno dei fondatori del Msi a Torino e diverrà vicesegretario nazionale del partito.
La prova che, nel massimo segreto, gli alleati non considerino Pino Romualdi, Junio Valerio Borghese e compagni come “fascisti”, lo dimostra il fatto che a fornire l’esplosivo agli israeliani per compiere un attentato contro l’ambasciata britannica a Roma, il 31 ottobre 1946, sarà Pino Romualdi.
E’ dubbio che gli israeliani stabilissero rapporti con l’ex vicesegretario nazionale del Partito fascista repubblicano, se non avessero avuto sul suo conto prove sufficienti della sua lealtà alla sua causa antifascista, maturate nel corso del biennio 1943-1945.
Con simili referenze non meraviglia che Pino Romualdi diverrà vicesegretario nazionale e presidente del Movimento sociale italiano – Destra nazionale.
E sarà ancora un ufficiale della Decima Mas, Fiorenzo Capriotti, ad affondare a Gaza la nave ammiraglia egiziana “El Mir Farouk”, il 22 ottobre 1948, al comando di un gruppo di subacquei incursori israeliani addestrati da ufficiali della Decima su interessamento del capitano di vascello Agostino Calosi e di Junio Valerio Borghese, che manterrà con Israele un rapporto privilegiato fino alla sua morte, il 27 agosto 1974.
Anche Fiorenzo Capriotti era un elemento di spicco del Movimento sociale italiano.
Fioriscono, poi, dalla primavera del 1946 in avanti, e formazioni paramilitari guidate da ufficiali delle tre Armi (Esercito, Aeronautica, Marina) provenienti dai ranghi dell’esercito badogliano che riescono a cooptare nelle proprie file ex partigiani “bianchi” e neofascisti uniti dall’avversione al comunismo.
La più nota fra queste formazioni rimane l’Armata italiana della libertà, fondata nella primavera del 1946 dal colonnello dell’Aeronautica Ugo Musco, che depositerà presso l’ambasciata americana l’elenco dei componenti del comitato centrale dell’organizzazione, quasi tutti generali ed ammiragli in congedo ed in servizio dall’impeccabile curriculum antifascista.
Del resto, sono i vertici del Movimento sociale italiano a mettere al servizio dello Stato maggiore dell’esercito, il 18 aprile 1948, che saranno inquadrati dall’Arma dei carabinieri come a Milano dove, in quattrocento, attenderanno all’interno di una caserma l’evolversi degli avvenimenti pronti ad intervenire contro i ‘rossi’.
Tre anni dopo la fine della guerra, i giovani reduci della Repubblica sociale italiana, ingannati dai loro capi e da una propaganda ossessionante quanto falsa sul pericolo di una rivoluzione comunista in Italia, sono chiamati a combattere e a morire per il Papa e per Washington, per Israele e la Confindustria, per l’oro contro il sangue.
Il neofascismo di servizio segreto nasce in questi dell’immediato dopoguerra quando, in nome di una guerra anticomunista che non ci potrà mai essere, entreranno a far parte di strutture segrete dello Stato antifascista delegate a difendere l’esistenza di quest’ultimo e a rappresentare gli interessi degli alleati vincitori.
Quanti dei mancate combattenti anticomunisti del 18 aprile 1948 troveranno successivamente normale, se non doveroso, proseguire nella collaborazione con i servizi segreti militari e civili, con l’Arma dei carabinieri e la Pubblica sicurezza? Tanti, decisamente troppi a rivestire la veste di informatori e confidenti degli apparati di sicurezza prendendo esempio dai capi che nel sistema sono perfettamente integrati fin dal giorno in cui hanno fondato un partito dal nome e dal simbolo francesi per servire gli interessi americani, vaticani e israeliani.
Quando, dopo l’avventura di Ferdinando Tambroni, nella primavera-estate del 1960, inizierà l’emarginazione politica del Msi, si avrà un ambiente politico e umano ufficialmente tenuto ai margini del governo e dai partiti ma perfettamente integrato nello Stato e nel suo apparato paramilitare e di sicurezza.
La doppiezza del Movimento sociale italiano, partito di Stato ma non di governo, viene denunciata dai “fascisti di sinistra”, riuniti attorno alla rivista “Il pensiero nazionale”, che si rivolgono direttamente alla base missina:
“ Voi lo sapete e lo vedete : numerosi vostri amici e compagni d’arme sono ancora in galera o ramingano in cerca di un pezzo di pane, mentre i Valerio Borghese, i Pino Romualdi, gli Almirante, i Lauro, i Cucco ingrassano alla greppia dei feudatari e degli atlantici. Coloro che dovevano pagare si danno arie di eroi e di puri e tentano di ingannarvi per una terza volta trasformandovi in mercenari degli inglesi e degli americani. Non ricordate i morti della guerra contro gli angloamericani? Gli stessi gerarchi, come i Borghese, i Romualdi, i Covelli e i Michelini che vi abbacinavano con la formula della guerra del sangue contro l’oro, vi spingono oggi nella guerra dell’oro contro il sangue. Non capite questa infamia? E se la capite che aspettate a insorgere e a denunciarla?”.
Accuse che trovano riscontro, ad esempio, in un rapporto del questore di Roma, Saverio Polito, del 22 dicembre 1951 che segnala la presenza nel comitato direttivo italiano di “Pace e libertà”, organizzazione atlantica, di Giulio De Marzio, “fratello del noto Ernesto De Marzio, ex gerarca fascista e attualmente membro del comitato centrale del Movimento sociale italiano”, che risulta essere “proprietario e amministratore unico e direttore dell’Agenzia Giornalistica Italia
( Agi ), direttore responsabile della rivista ‘Esteri’, quindicinale di politica estera sovvenzionato dall’Erp… Viene riferito riservatamente – continua il questore – che nuove elargizioni Erp sarebbero state consegnate di recente al De Marzio dal giornalista Frank Gervasi, capo della sezione propaganda dell’ente, presso cui il De Marzio stesso prestò servizio in passato”.
Molti si ribellano. Dal Piemonte, alcuni dirigenti del Msi scrivono ad Augusto De Marsanich per comunicargli che non riconoscono più la sua autorità e quella direzione nazionale del partito e del comitato centrale “in compenso – continuano – riconosciamo l’abilità con la quale, col pretesto dell’emergenza, avete catturato il partito ufficiale e lo state trasformando in un movimento di destra, strettamente legato a forze antisociali”.
Il Movimento sociale italiano si avvia ad essere un partito reazionario e conservatore, esattamente com’era negli intendimenti dei suoi fondatori, tanto che il 23 aprile 1952, Giorgio Pini, redattore capo de “Il Popolo d’Italia” e sottosegretario agli Interni durante la Repubblica sociale italiana, uno degli uomini più vicini a Benito Mussolini, si dimette dal partito.
Un partito di spioni, tanto che Filippo De Marsanich, fratello del segretario nazionale del Msi Augusto De Marsanich, risulterà poi essere stato inserito nella struttura “Gladio”, l’organizzazione segretissima della Nato, che ben conosceva quanto lontani fossero dal fascismo e dalla difesa degli interessi nazionali questi personaggi che sfruttavano i caduti della Repubblica sociale italiana rivendicandone l’eredità politica e spirituale.
Non aveva torto Francesco Cosentino, segretario generale della Camera dei deputati, quando, nel giugno del 1960, dirà a Robert Mudd, segretario dell’ambasciata americana, che “Il Msi non è un vero partito fascista e che è cosa da ridere considerarlo tale. Il Msi non vuole ciò che voleva Mussolini ed è diventato un partito rispettabile della destra politica”.
Ma per ragioni esclusivamente elettorali, i dirigenti del Msi continueranno ancora per decenni a presentarsi come gli unici eredi della Repubblica di salò, e si dovrà attendere il 1995 perché gli eredi di Giorgio Almirante e Pino Romualdi, si decidano a sputare apertamente sul fascismo e sui fascisti, sui morti e sui vivi, per mangiare il piatto di lenticchie che gli offrono Silvio Berlusconi, l’ambasciata americana e quella di israeliana.
Partito di Stato insieme alle organizzazioni collegate (Ordine Nuovo, Fronte Nazionale, Avanguardia Nazionale, Europa Civiltà, Terza Posizione, Nar), il Msi ha rappresentato il vivaio dal quale i servizi di sicurezza hanno attinto centinaia o migliaia di uomini da utilizzare per la difesa del “mondo libero” e per combattere la “sovversione rossa” con tutti i mezzi, anche i più infami, senza sporcarsi le mani e compromettersi direttamente.
Partito di uno Stato che è da sempre democratico ed antifascista, che nasce dalla Resistenza e dalla sconfitta militare dell’Italia fascista, così che non si potrà mai parlare di “eversione nera” in questo Paese, di “terrorismo fascista” che insidia la democrazia, ma di un fronte unico che vede lo Stato – questo Stato – scatenare una “guerra a bassa intensità” per difendere gli interessi degli Stati Uniti, della Nato e di Israele nel Mediterraneo utilizzando il suo neofascismo che è l’esatta antitesi del fascismo.
Le conferme le abbiamo ancora oggi, che siamo ormai lontani dai tragici avvenimenti degli anni Settanta, quando i presunti neofascisti, degni eredi del Movimento sociale italiano e dei gruppi da esso dipendenti, non perdono occasione per rendere omaggio ai corpi separati dello Stato, primo l’Arma dei carabinieri, la polizia di sicurezza atlantica, la polizia politica di cui dovremmo chiedere a gran voce lo scioglimento per il ruolo che ha rivestito nella “guerra a bassa intensità” di cui detiene tutti gli ignobili segreti.
Pubblicheremo i nomi di quanti hanno ricoperto il ruolo di informatori e confidenti dei servizi di sicurezza e che, ancora oggi, tanti ritengono “camerati” forti del fatto che il Msi che, per bocca di Giorgio Almirante, rappresentava “l’alternativa al sistema” ha annoverato fra i suoi parlamentari ben tre direttori dei servizi segreti militari: Giovanni De Lorenzo, Vito Miceli, Ramponi.
Lasciamo volentieri a costoro “camerati” di tal fatta, così come coloro che a basso livello hanno servito gli apparati di sicurezza dello Stato antifascista ma non rinunciano, nemmeno oggi, nemmeno dinanzi all’evidenza delle prove, a spacciarsi per “fascisti” aiutati in questo dalla malafede di giudici che insistono a presentare gruppi spionistici come quello veneto come “cellule nere”, per guadagnarsi pubblicità e stipendio.
Questo presunto “neofascismo” è “cosa da ridere”, ma ci sono stati troppi lutti,troppe tragedie individuali e collettive perché si abbia voglia di ridere.
Si sente invece il dovere di denunciare questo liquame umano e politico che, invece di appartarsi in silenzio, continua a strepitare vantandosi di aver fatto la “lotta armata” contro lo Stato e favorendo così la menzogna che si cerca di far passare per verità storica ormai acquisita e provata.
Contro questo Stato ed i suoi alleati internazionali, l’unica lotta che si ha il dovere di condurre è quella che utilizza l’arma della verità, da usare fino alle estreme conseguenze, costi quel che costi.
Dopo, quando la verità si sarà affermata, la luce di una nuova alba illuminerà un Paese nuovo, liberato, redento.
E ridare dignità e verità al Paese è il nostro compito e la nostra battaglia.

Vincenzo Vinciguerra

Opera, 15 ottobre 2007

http://proscritti.iobloggo.com/119/neofascismo-di-servizio-segreto

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